Giusto e utile possono coincidere?
Giusto e utile possono coincidere?
L’opera di Tucidide è, secondo D. Cohen, un commento generale sulla guerra, sulla politica e sull’imperialismo, piuttosto che un accurato resoconto storico su una particolare guerra. Solo acquisendo una certa padronanza della natura di questo commento è possibile capire perché Tucidide abbia deciso di esaminare dettagliatamente certi eventi (spesso apparentemente insignificanti), mentre ne abbia tralasciati altri (fornendone una minima descrizione o omettendoli del tutto).
Il modo in cui Tucidide elabora questo suo commento non è attraverso diretti riferimenti a sé, ma attraverso la combinazione di strutture tematiche della narrativa e dei discorsi con complesse strutture verbali che servono a collegare e comparare eventi differenti.
Inoltre, secondo Cohen, le Storie non sono un semplice commento, ma sono un commento morale sulla guerra e la politica, mostrando come il troppo potere possa corrompere gli essere umani, portandoli a comportarsi in modo ingiusto ⇒ questo approccio rigetta l’idea molto diffusa tra gli studiosi, in base alla quale Tucidide sia un realista amorale o comunque disinteressato a questioni di carattere etico e morale. Secondo Cohen, dunque, Tucidide è un moralista non tanto per quello che crede, ma perché costringe il lettore a porsi certe domande, a riflettere, in modo indiretto, su certi problemi: giustizia e interesse, vendetta e moderazione, calcolo e azione.
Il contrasto tra le idee di giustizia e di interesse appare per la prima volta nel dibattito su Corcira, nel Libro I, capp. 31-44:
− il discorso dei Corciresi ha i toni di un freddo e razionale calcolo strategico: essi riconoscono che la loro passata politica di neutralità si basava su un calcolo sbagliato (I.32, si è trattato di un errore di valutazione) e tutta la loro argomentazione si basa completamente su un vocabolario fatto di interesse, utile e vantaggio, tanto che concludono il discorso avvisando gli Ateniesi di non calcolare male il meglio per i loro interessi, per paura di infrangere i patti con Sparta (I.36, chiunque è convinto dentro di sé dei sopraddetti vantaggi e tuttavia teme che la sua eventuale adesione costituisca una rottura dei patti, rifletta che il suo timore, congiunto alla forza, indurrà piuttosto i suoi nemici a un prudente rispetto);
− i Corinzi rispondono adottando un vocabolario del tutto diverso da quello dei Corciresi: essi, infatti, avanzano accuse prevalentemente sul piano morale (I.37, dicono di non essere entrati prima in lega con nessuno per prudenza: hanno intrapreso invece questa linea politica perché sono delinquenti). Il loro discorso si conclude con la considerazione che non ritenga che queste parole sian sì giuste ad udirle, ma, in caso di conflitto, l’utile stia da tutt’altra parte (I.42) ⇒ giusto ed utile coincidono, proprio come sosterrà Cleone.
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Mentre i Corciresi tentano di dimostrare che l’alleanza sarebbe negli interessi di Atene, i Corinzi rispondono che, accettando tale alleanza, gli Ateniesi diventerebbero complici nella trasgressione dei Corciresi. ⇒ Tucidide rappresenta i sostenitori della giustizia come coloro che si avvalgono di termini quali diritto penale, crimine, punizione, colpa, responsabilità, all’interno del processo di decision-making: in questo modo, l’Assemblea diventa un vero e proprio tribunale.
L’opposizione tra giusto ed utile si ritrova, sempre nel Libro I, nel dibattito a Sparta tra Corinzi ed Ateniesi, questi ultimi, in particolare, avanzano l’idea (contraria a quella dei Corinzi e di Cleone) che l’Assemblea sia un organo puramente decisionale e non un tribunale (I.73, non siete voi i giudici) e che le decisioni politiche consistono puramente in attenti calcoli di interesse e non nel giudicare cosa è bene e cosa è male, chi è colpevole e chi innocente.
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Con parole che sembrano predire il destino di Mitilene e di Platea, gli Ateniesi sottolineano sono le considerazioni di utile, e non di giusto, che dovrebbero determinare la politica spartana, dopo un attento calcolo utilitaristico.
Uno dei principali temi trattati nel Libro I è la comparazione che i Corinzi fanno di Sparta e Atene e dei rispettivi caratteri nazionali, da cui deriva una diversa attitudine nel processo di decision-making. I dibattiti a Mitilene e Platea nel Libro III mostrano questi 2 diversi approcci, e le relative conseguenze:
Mitilene
− sebbene i Mitilenesi inizino il loro discorso davanti agli Spartani valutando “giusta” la loro rivolta e sostenendo che un’alleanza in genere si basa su valori condivisi, il primo vero argomento avanzato rispecchia quello dei Corciresi ad Atene: calcoli di interesse, utile e timore, tanto che la loro alleanza con Atene viene spiegata come puro equilibrio di terrore ed interesse;
nella loro decisione circa il destino di Mitilene, anche Cleone e Diodoto presentano il contrasto tra il giusto e l’utile, così come l’avevano presentato nel Libro I Corciresi e Corinzi:
− Cleone è molto vicino alla posizione corinzia, dato che la sua visione di deliberazione politica si basa soprattutto su una sorta di giustizia penale primitiva ⇒ l’Assemblea dovrebbe comportarsi come un giudice che applica rigidamente la legge, senza perdere tempo a calcolarne ogni eventuale conseguenza ⇒ il giudizio non dovrebbe essere spassionato ed imparziale, ma dovrebbe basarsi sulla rabbia, sulla fretta e sul desiderio di vendetta. Tuttavia, il fatto che Cleone inizi il suo discorso ricordando agli Ateniesi che la vostra signoria è una tirannide, un servizio imposto a soggetti perfidi, insofferenti, che curvano il capo non in virtù dell’indulgenza che accordate loro, nociva e rischiosa a voi stessi, ma dell’autorità che ha radici nella forza (I.37), indica come in realtà il velo della giustizia sia solo un puro artificio retorico, fino al punto di arrivo che chiude il cerchio del suo discorso: se fu legittimo il loro moto, è dunque iniquo il vostro dominio. Se, pur contro il diritto, vi proponete egualmente di farlo valere, non sfuma per ciò il dovere di correggerli duramente, in contrasto con la giustizia, ma in accordo con il vostro profitto (III.40) ⇒ Mitilene deve essere punita, indipendentemente che ciò sia giusto o ingiusto, perché nell’interesse di Atene (una punizione esemplare impaurirebbe gli altri alleati).
Come Stenelada nel Libro I, anche l’attacco di Cleone l’intelligenza e al dibattito si basa sull’idea che la gente, nelle decisioni politiche, dovrebbe agire solamente seguendo le proprie emozioni, come la rabbia, e non sprecare tempo in discorsi e discussioni (il sogno di ogni demagogo).
− Diodoto, riprendendo quanto affermato dagli ambasciatori ateniesi a Sparta, ribadisce all’Assemblea che questo non è un procedimento penale a loro carico, che esigerebbe rigore giuridico, ma una discussione sul loro destino futuro, con l’attenzione fissa all’utile che ne sapremo ricavare (III.44) ⇒ Diodoto propone un modello decisionale basato sul calcolo razionale dei propri interessi e su principi di saggezza e moderazione che, attraverso il dibattito e una deliberazione ragionata, dovrebbero stare alla base del governo della città.
La cosa più importante da notare è come Tucidide non si concentri sul destino in sé di Mitilene, ma su come uno stato dovrebbe essere governato: è su questa base che verrà determinato il destino non solo di Mitilene, ma anche di Platea, Melo, Corcira, Sicilia e della stessa Atene. Da questo punto di vista, Cleone e Diodoto sono presentati non come semplici individui, ma come rappresentanti di orientamenti politici opposti, gli stessi orientamenti rappresentati da Stenelada ed Archidamo a Sparta, Ermocrate ed Atenagora in Sicilia, Nicia e Alcibiade, e Pericle, le cui parole sono sempre in sottofondo ad ogni dibattito.
Platea
In questo caso, Tucidide offre un esempio dei metodi con cui Sparta tenta di risolvere una situazione del tutto simile a quella che gli Ateniesi si sono trovati ad affrontare a Mitilene:
− i Tebani, desiderosi di vendetta, rispondono ai Plateesi con un discorso fondato su un senso di giustizia vendicativa, del tutto simile a quella avanzata dai Corinzi, da Stenelada e da Cleone, tanto che i Tebani chiudono il loro discorso con il seguente invito agli Spartani: chiarite ai Greci con un esempio memorabile che qui non intendete istituire un torneo oratorio, ma un severo processo alle azioni (III.67).
In tutto ciò, Tucidide non analizza l’uso della giustizia solo come finzione, né le sue conseguenze. Egli si limita a commentare, in modo secco e diretto, il destino di Platea e questo semplice commento è più che sufficiente a condannare la retorica della giustizia utilizzata dagli Spartani e da uomini come Cleone per mascherare i loro veri intenti. Tucidide infatti conclude l’episodio di Platea commentando che si può tranquillamente sostenere la tesi che l’intera vicenda di Platea, con la parte che gli Spartani vi avevano interpretata, traeva origine dal desiderio, vivo in costoro, di rendersi amici i Tebani, ritenendo che, nel conflitto appena esploso, il loro contributo sarebbe stato molto opportuno (III.68).
⇓ Caratteristica comune a questi episodi è che il giusto viene di solito invocato dal debole, da chi è in difficoltà (come Corinto) o da chi si trova in una condizione senza speranza (come i Meli e i Plateesi), senza però dimenticare l’interesse di chi sta loro di fronte. Anzi, hanno quasi la pretesa di suggerire ai nemici più forti cosa è nel loro interesse, pretesa resa relativa anche dal fatto di avere o non avere i mezzi per avanzare simili proposte: ad esempio, Atene si allea a Corcira perché rientrava nel loro interesse impossessarsi della flotta corcirese; allo stesso modo, gli Spartani uccidono i Plateesi solo per ingraziarsi i Tebani ⇒ ciò dimostra come, di solito, l’appello al giusto non dia grandi risultati.
Quando giusto e utile coincidono, tanto meglio, ma, quando non è così, l’utile ha sempre la precedenza sul giusto.
Questo dibattito tra giusto ed utile si verifica non solo nei rapporti tra Stati, ma anche nei dibattiti interni gli Stati: ad esempio, quando a Sparta si discute se dichiarare guerra ad Atene, Stenelada sostiene la necessità della guerra (I.86), sia perché giusta (nessuno ci venga a dire che dobbiamo riflettere, mentre subiamo un torto), sia perché utile (non consentite agli Ateniesi di farsi più potenti).
Anche nel dibattito ateniese su Mitilene, Cleone sostiene che la punizione esemplare di Mitilene sarebbe giusta, perché godevano l’autonomia politica, e utile, perché scoraggerebbe ulteriori defezioni (III.39).
Diodoto, invece, elimina il concetto di giustizia dal suo intervento, ma parla solo dell’utile per la città, perché l’Assemblea è un Parlamento e non un tribunale.
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Paradossalmente, coloro che avanzavano criteri di giustizia e legalità (Cleone) propongono una pena molto più terribile da quella proposta da Diodoto, che si propone di sottolineare solamente l’utile, tralasciando volontariamente ogni riflessione sulla giustizia.
Anche nella guerra civile a Corcira si osserva la contrapposizione tra il giusto e l’utile. In particolare, la guerra civile scoppia come conseguenza del fatto che i membri delle fazioni politiche contrapposte usassero il sistema di giustizia penale come un’arma politica contro i loro nemici. Anche la conclusione della descrizione degli eventi a Corcira continua ad essere dominata dal tema della vendetta.
Che Tucidide guardi a questi eventi con indifferenza morale sembra, secondo Cohen, inverosimile, considerando la natura delle sue descrizioni. Bisogna tuttavia prendere in considerazione la descrizione della guerra civile come un fenomeno generale e soprattutto del ruolo dominante giocato in essa da sentimenti quali la vendetta e la sete di potere.
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