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L'assurdo di Beckett e il ridicolo in Burgess

Astrazione anche in Samuel Beckett. Le dèpepleur (1970, Lo spopolatore) descrive un luogo di contenzione e di sterminio: una stanza 101 collettiva (un tronco di cilindro basso), di cui non sappiamo nulla sul potere che la determina e sui suoi scopi. Vi sono rinserrate senza possibilità di fuga circa duecento persone, calcolando un corpo per metro quadrato.

La distopia di Beckett si innerva nella sua scrittura: infatti se nulla ha senso, il linguaggio non può che rimbalzare in un dialogo dell'assurdo e del fraintendimento, altalenando ironia e depressione. Adorno scrive che "le parole suonano pretestuose perchè l'ammutolimento non è riuscito ancora del tutto, e sono come voci d'accompagnamento del silenzio che disturbano".

In The Wanting Seen (1962, Il seme inquieto) di Anthony Burgess, il problema, nel XXI secolo, è l'eccesso di sovrappopolazione, risolto con una drastica limitazione delle nascite e la persecuzione della maternità; in un secondo tempo, mediante una finta guerra, i soldati finiscono in un teatro del combattimento per essere uccisi. In essa l'orrore è ogni volta rovesciato dal ridicolo e dall'ironia.

L'uso particolare del linguaggio è ancor più decisivo in A Clorkwork Orange, sempre di Burgess. La questione spesso sollevata dalla distopia, per cui il degenerare dei rapporti sociali raggiunge l'apice quando il linguaggio dell'altro diventa incomprensibile, trova qui le estreme conseguenze. La storia è raccontata in prima persona dal giovane delinquente Alex, con il gergo della malavita. L'effetto è particolare perchè il lettore non può certo identificarsi col soggetto narrante.

Anche la distopia femminista presenta testi sperimentali, come The Female Man (1975) di Joanna Russ. Il libro della Russ racconta quattro mondi paralleli, e ne attesta le differenze possibili tramite i vari livelli di emancipazione delle donne. Più che una distopia, il mondo di Whileaway (dove le donne vivono bene senza gli uomini) è forse un'utopia dal punto di vista femminista. Forse, la vera distopia è ironicamente nel mondo più simile al nostro, con le donne in un ruolo subalterno.

Dopo la seconda guerra mondiale, allo spettro dello spossamento si sovrappone la minaccia della bomba atomica. L'incubo della bomba non è nuovo, ma ora si materializza vividamente. Ape and Essence (La scimmia e l'essenza, 1948) di Huxley è il primo testo sul dopo-bomba e prevede una terza guerra mondiale, da cui si salva solo la Nuova Zelanda. La spedizione neozelandese che esplora la California scopre comunità umane regredite, e mutate a causa dei raggi gamma.

Più avanti, un altro dopo-bomba è Doctor Bloodmoney, How we got along after the bomb (1965, Cronache del dopo-bomba) di Philip Dick, uno dei maestri della fantascienza. Il problema di chi abbia vinto la guerra atomica è trascurato: l'emergenza è a San Francisco, dove vi sono sintomi di re-imbarbarimento per la penuria del cibo. La conclusione è quella del riaffermarsi della normalità.

Meno margini di ripresa si trovano ne Il re del magazzino (1978) di Antonio Porta, in cui la catastrofe principale è un crollo economico, che conduce a scontri e carneficine. Attorno al magazzino-nascondiglio, il mondo va a rotoli: non si tratta più di sopravvivere, ma di sottovivere. La scrittura è l'unico modo per praticare la speranza: scrivere significa ipotizzare un possibile ricevente.

Tratto da "SCRITTURE DELLA CATASTROFE" DI MUZZIOLI di Domenico Valenza
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