Liberalismo commerciale
LIBERALISMO COMMERCIALE: I liberali economici sono comunque consapevoli che in certi casi il mercato può funzionare in modo difforme dalle aspettative di efficienza e mutuo guadagno. Tali casi sono chiamati “fallimenti del mercato” e per prevenirli o per porvi rimedio possono essere necessari misure politiche di regolamentazione → alcuni liberali economici auspicano un più elevato grado di interferenza dello stato nel mercato ES: secondo John Maynard Keynes, per migliorare la situazione è necessaria una più lungimirante gestione politica del mercato.
Le idee keynesiane spianarono la strada a una teoria liberale significativamente riformata, ancora basata sull’economia di mercato, ma con un grado considerevole di interferenza e controllo da parte dello stato.
3. marxismo/neomarxismo: il pensiero di Karl Marx in merito all’economia politica rappresenta una critica radicale del liberalismo economico. Marx conviene con i mercantilisti che politica ed economia sono strettamente legate, ma mentre per i mercantilisti l’economia è solo uno strumento della politica, i marxisti rovesciano questa gerarchia e assegnano decisamente il primato all’economia.
L’economia capitalista si basa su 2 classi sociali antagoniste: la borghesia (che possiede i mezzi di produzione) e il proletariato (che è costretto a vendere la propria forza-lavoro alla borghesia). Il profitto del capitalista scaturisce dallo sfruttamento del lavoro.
Marx non scorge nella crescita del capitalismo un fatto negativo; al contrario, per Marx, capitalismo significa progresso, perché, da un lato, distrugge i precedenti rapporti di produzione, che erano ancora peggiori, e, dall’altro, apre la strada a una rivoluzione socialista che porrà i mezzi di produzione sotto il controllo della collettività, a tutto vantaggio del proletariato.
Quella marxista è una concezione materialistica, nel senso che si basa sull’idea che in qualsiasi società l’attività fondamentale riguarda il modo in cui gli esseri umani producono i loro mezzi di sussistenza.
Le lotte tra gli stati, comprese le guerre, devono dunque essere interpretate nel contesto economico della concorrenza tra le classi capitaliste dei differenti stati la lotta di classe è più importante della lotta tra gli stati e poiché le classi sono trasversali rispetto agli stati, la lotta di classe non è confinata all’interno di questi ultimi, ma, sulla scia del capitalismo, essa si espande intorno al mondo.
Secondo Lenin, l’espansione capitalistica non può che creare disuguaglianze tra paesi, industrie e imprese, destinate a insorgere continuamente, in base alla legge dello sviluppo disuguale.
Il pensiero marxista contemporaneo ha ulteriormente approfondito l’analisi di questo punto:
Robert Cox: parte dal concetto di strutture storiche = una particolare configurazione di forze (capacità materiali, idee, istituzioni). Le strutture storiche sono identificate a 3 differenti livelli:
1. forze sociali = il processo di produzione capitalistico
2. forme di stato = i modi in cui gli stati cambiano per effetto dell’interazione con le forze sociali dello sviluppo capitalistico. Attualmente esse sono coinvolte in un intenso processo di globalizzazione economica
3. ordine mondiale: la tendenza a lungo termine sarà quella di una progressiva erosione dell’attuale posizione di predominio globale degli USA.
Immanuel Wallerstein: adotta come punto di partenza il concetto di sistema mondo = aree unificate, caratterizzate da strutture economiche e politiche particolari, ciascuna delle quali dipende dall’altra. Nella storia umana sono esistiti 2 tipi fondamentali di sistema mondo: l’impero-mondo (il controllo politico ed economico è concentrato in un unico centro) e l’economia-mondo (unificata economicamente da un’unica divisione del lavoro, mentre l’autorità politica è decentrata in un sistema di stati). L’economia-mondo capitalistica si articola in una gerarchia di:
1. aree centrali = contengono le attività economiche più avanzate e complesse, gestite dalla borghesia locale
2. aree periferiche = producono merci di base, spesso sfruttando schiavi o manodopera coatta
3. aree semiperiferiche = costituiscono una via di mezzo.
Il processo dello scambio disuguale, che consente il trasferimento di plusvalore dalla periferia al centro, genera tensioni all’interno del sistema → la semiperiferia costituisce un fattore di stabilità politica, perchè i paesi del centro non sono costretti a fronteggiare un’opposizione unificata.
Nello stesso tempo, l’economia-mondo non è del tutto statica: ciascuna area del sistema può passare dalla periferia alla semiperiferia al centro, e viceversa.
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