Autori neorealisti
Herz: introduce il dilemma della sicurezza = il sistema anarchico costringe gli stati a prendere misure difensive. Possono, però, innescarsi spirali di insicurezza che, a loro volta, possono degenerare in conflitto.
La base del dilemma è la mancanza di certezza sulle intenzioni dell’altro e si arriva al conflitto nel momento in cui, secondo le strategie militari, si costituisce il vantaggio della prima mossa aumenta il rischio di guerra anche se, in realtà, nessuno dei contendenti la vuole
Kenneth Waltz: egli risponde ai dibattiti 2 e 1bis, affrontando il metodo scientifico dal punto di vista positivista, proponendo, cioè, un metodo deduttivo, in base al quale prima si fanno delle teorie, poi delle ipotesi che solo alla fine vengono verificate. In Teoria della politica internazionale egli si propone di elaborare una spiegazione scientifica del sistema politico internazionale il suo approccio esplicativo è fortemente influenzato dai modelli economici di ispirazione positivista e su quelli evolutivi. Nel neorealismo al centro dell’analisi si colloca la struttura del sistema, e in particolare l’equilibrio di potere tra i suoi componenti: gli attori sulla scena sono meno importanti, perché, sostanzialmente, sono le strutture a determinare i comportamenti.
Waltz distingue tra:
1. teorie riduzioniste = spiegano i risultati internazionali attraverso elementi collocati a livelli nazionale e sub-nazionale è una teoria sul comportamento delle parti
2. teorie sistemiche
I tradizionalisti enfatizzano la distinzione strutturale fra la politica interna e quella internazionale, distinzione che i modernisti negano: essa dipende dalla differenza fra la politica condotta in una situazione in cui le regole sono stabilite e la politica condotta in una condizione di anarchia mentre i tradizionalisti insistono sul carattere anarchico della politica internazionale come elemento di distinzione fra l’ambito nazionale e quello internazionale, i modernisti si oppongono a tale visione.
Tuttavia, le differenze fra la scuola tradizionale e quella moderna sono abbastanza ampie da nascondere la loro fondamentale somiglianza. Entrambe le teorie, infatti, seguono in realtà la stessa linea di ragionamento: analizzano la politica internazionale in termini di caratteristiche degli stati e di loro relazioni.
Nella storia delle relazioni internazionali, comunque, raramente i risultati ottenuti corrispondono alle interazioni degli attori: la ragione apparente per cui le intenzioni sono ripetutamente frustrate è che esistono elementi causali che non hanno origine a livello di caratteri e motivazioni dei singoli stati, e che operano in modo efficace sugli attori come collettività.
I ripetuti fallimenti dei tentativi di spiegare gli effetti internazionali attraverso l’esame delle unità interagenti, segnalano la necessità di un approccio sistemico. Poiché la varietà degli attori e le diversità nelle loro azioni non equivale alla varietà dei risultati, entrano in gioco delle cause sistemiche una teoria sistemica è sia necessaria che possibile.
La struttura di un sistema agisce come limite e forza ordinatrice.
Una teoria politica deve avere capacità esplicative e predittive, ma anche eleganza = validità generale delle spiegazioni e delle predizioni. La teoria, dunque, spiega la continuità all’interno del sistema, ci dice cosa dobbiamo aspettarci e perché, spiega le ricorrenze e le ripetizioni all’interno di un sistema, non il cambiamento.
Le strutture, inoltre, possono cambiare improvvisamente: una rivoluzione può produrre un mutamento strutturale causando nuove aspettative sulle conseguenze delle azioni e delle interazioni delle unità.
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Possiamo descrivere e comprendere in modo strutturale le pressioni a cui sono soggetti gli stati, ma non possiamo predire le reazioni di questi ultimi senza conoscerne le strutture interne.
La teoria, come la storia della politica internazionale, è scritta in termini di grande potenza di un’epoca: il destino degli stati è influenzato in maniera molto più determinante dagli atti e dalle interazioni degli stati maggiori che di quelli minori.
NB: concentrarsi sulle grandi potenze non significa perdere di vista i paesi minori, ma l’attenzione al destino di questi impone l’analisi puntuale delle influenze esercitate dai primi una teoria generale della politica internazionale è necessariamente basata sullo studio delle grandi potenze, ma una volta scritta, si applica anche agli stati minori nella misura in cui le loro interazioni sono isolate dall’intervento delle grandi potenze.
Waltz introduce una distinzione tra:
1. sistemi multipolari: secondo i realisti classici, i sistemi multipolari sono i migliori, perché sono più flessibili ai cambi di potenza, inoltre, se il potere mondiale è diviso tra più potenze, la minaccia è tendenzialmente meno pericolosa. Il dilemma della sicurezza è al suo massimo solo in un sistema bipolare.
2. sistemi bipolari: secondo Waltz, sono più stabili di quelli multipolari e danno, quindi, maggiori garanzie di pace e sicurezza → quando si fronteggiano 2 sole grandi potenze, ci si può aspettare che entrambe si comportino in modo da far durare il sistema, perché difendendo il sistema difendono se stesse.
3 sono i problemi del multipolarismo:
è difficile identificare la minaccia principale è più difficile fare balancing
sindrome del buckpassing (scarica barile) non si fa balancing perché ogni alleato cerca di scaricare i costi sugli altri
sindrome del chainganging (più rara) = gli alleati sono troppo legati tra loro, perché per paura di perdersi, tendono a sovra-aiutarsi se cade uno, cadono tutti
3 sono le ragioni fondamentali per cui i sistemi bipolari sono più stabili e pacifici:
il numero dei conflitti tra grandi potenze è minore e ciò riduce i rischi di guerra tra grandi potenze
è più facile gestire un sistema efficace di deterrenza, perché meno numerose sono le grandi potenze coinvolte
dal momento che nel sistema predominano 2 sole grandi potenze, il rischio di errori di valutazioni e di incidenti fortuiti è inferiore
Secondo questa visione, la Guerra Fredda fu un periodo di stabilità e pace internazionale. È, però, un’ipotesi storicamente discutibile, dal momento che nei primi anni ’90 USA e URSS intrapresero iniziative congiunte per porre fine al sistema bipolare e alla Guerra Fredda alla luce della conclusione della Guerra Fredda, il neorealismo waltziano dovrebbe essere rivisto, incorporandovi la possibilità storica che i determinate circostanze 2 grandi potenze pongano fine a un sistema bipolare, senza che ciò sia necessariamente l’esito di una guerra dalla quale una delle 2 esce sconfitta.
Nel considerare le strutture come cause è utile distinguere fra 2 definizioni:
1. designa un dispositivo che opera per produrre un’uniformità di effetti a dispetto della varietà degli inputs. Le strutture di questo tipo sono agenti o apparati in funzione all’interno dei sistemi e corrispondono a ciò che tradizionalmente viene preso a modello dagli scienziati politici
2. designa un insieme di condizioni di costrizione. Anche questa struttura agisce come selettore, ma non può essere vista, esaminata e osservata al lavoro. Gli effetti sono prodotti in 2 modi:
socializzazione degli attori: le coppie e i gruppi forniscono esempi della socializzazione che ha luogo nelle organizzazioni e nelle società. La società stabilisce norme di comportamento in modo informale e spontaneo; l’opinione del gruppo esercita un controllo sui suoi membri
competizione fra gli attori: genera un ordine a cui le unità adeguano le loro relazioni attraverso atti e decisioni autonome. Dove regna la selezione basata sui risultati emergono e si affermano dei modelli senza il bisogno di una forza superiore che ne combini le parti per formarli o si sforzi di mantenerli
Un sistema è composto da una struttura e da unità interagenti. La struttura è la componente estesa a tutto il sistema che rende possibile pensare il sistema come un intero le definizioni di struttura devono potere trascurare le caratteristiche delle unità, il loro comportamento e le loro interazioni. La questione è risolta considerando il doppio significato del termine relazione:
1. indica le interazioni delle unità
2. indica le posizioni che le unità occupano l’una nei confronti delle altre.
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Per definire la struttura occorre ignorare il modo in cui le unità si relazionano fra loro e concentrarsi su come si pongono in relazione fra loro.
Questa immagine puramente posizionale della società ha 3 conseguenze:
1. le strutture possono resistere anche quando variano ampiamente le personalità politiche, i comportamenti e le interazioni
2. una certa definizione strutturale può applicarsi a settori sostanzialmente differenti sin tanto che l’ordine delle parti è simile
3. le teorie sviluppate per un settore possono, con qualche modifica, essere applicabili anche in altri.
Il concetto di struttura è basato sul fatto che unità combinate e contrapposte in modo differente si comportano differentemente, producendo risultati diversi nell’interazione.
Una struttura politica interna è definita attraverso:
1. il suo principio ordinatore: le questioni di carattere strutturale concernono l’ordine delle parti all’interno di un sistema. I sistemi interni sono gerarchici e centralizzati = le componenti dei sistemi politici nazionali sono fra loro in relazione di superiorità-subordinazione. I sistemi internazionali, invece, sono anarchici e decentrati = formalmente ogni parte è uguale a tutte le altre, nessuno ha il diritto di comandare e nessuno ha il dovere di obbedire.
La struttura è un concetto organizzativo. Ma la caratteristica più importante della politica internazionale sembra essere proprio la mancanza di ordine e di organizzazione il problema è quello di come concepire un ordine senza un ordinatore e in assenza di una organizzazione formale
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I sistemi politico-internazionali sono formati dall’azione congiunta di unità che seguono il proprio interesse individuale. Nessuno stato sceglie volontariamente di partecipare alla formazione di una struttura che limita l’azione propria e quella di altri stati. Ma la sopravvivenza è un prerequisito per raggiungere qualsiasi obiettivo che non sia la propria scomparsa come entità politica.
Dire che la struttura seleziona significa semplicemente dire che coloro che si conformano alle pratiche più diffuse e coronate dal successo arrivano più spesso al vertice e hanno più probabilità di restarvi.
2. la specificazione delle funzioni delle unità distinte: gli stati (= le unità del sistema politico-internazionale) non sono contraddistinti dalle funzioni che svolgono. L’anarchia comporta relazioni di coordinazione fra le unità di un sistema e implica la loro uguaglianza sin tanto che perdura lo stato di anarchia gli stati restano soltanto delle unità uguali.
Chiamare gli stati “unità uguali” significa che ognuno di essi è uguale a tutti gli altri nel suo essere un’unità politica autonoma. È un altro modo per dire che gli stati sono sovrani. Ma quello di sovranità è un concetto problematico: dire che gli stati sono sovrani non significa dire che siano liberi dall’influenza degli altri stati o che siano sempre in grado di ottenere ciò che vogliono, ma significa che esso decide da sé come affrontare i problemi interni ed esterni inclusa la possibilità di cercare l’assistenza di altri e, così facendo, di limitare la propria libertà.
Gli stati, però, sono contemporaneamente, uguali e differenti: le unità di un sistema anarchico sono funzionalmente indifferenziate e vengono distinte principalmente per la loro maggiore o minore capacità di svolgere funzioni simili mentre la politica nazionale consiste di unità differenziate che svolgono funzioni specifiche, quella internazionale consiste di unità uguali che imitano reciprocamente l’attività degli altri.
3. la distribuzione del potere fra le unità: il potere è calcolato comparando le potenzialità di un certo numero di unità e, sebbene le capacità siano attributi delle unità, la loro distribuzione è invece un concetto di rilevanza sistemica nel definire le strutture politico-internazionali vengono presi in considerazione stati con differenti tradizioni, costumi, obiettivi, forma di governo, ma si astrae da tutti i loro attributi, eccetto il potere.
Le distribuzione di potenza si misura con 2 elementi:
il numero di grandi potenze = quelle potenze che proiettano i propri interessi al di là dei propri confini
il grado di potenza
Ogni altro elemento (ad es. l’interesse per la tradizione e la cultura, l’analisi della personalità degli attori politici, la presa in considerazione dei conflitti) è trascurabile, perché l’obiettivo dell’analisi è individuare gli effetti prevedibili della struttura sul processo e del processo sulla struttura.
Le strutture politiche modellano i processi politici → ciò è facilmente visibile attraverso la comparazione dei diversi sistemi di governo
L’idea della rilevanza della struttura internazionale nella politica estera viene, così, spinta ben al di là di quanto previsto dal realismo classico o neoclassico, che alla politica e all’etica riconosce sempre un peso rilevante.
Waltz critica tutti quegli studiosi che “pretendono di seguire un approccio sistemico” e che concepiscono il sistema della politica internazionale nel seguente modo:
N1, N2, N3 sono stati che generano internamente effetti esterni; X1, X2, X3 sono stati che agiscono esternamente e interagiscono fra loro.
Nella figura sopra, però, nessuna forza o fattore sistemico è evidenziato.
Poiché, invece, gli effetti sistemici sono più che evidenti, la politica internazionale dovrebbe, secondo Waltz, essere rappresentata nel seguente modo:
Il cerchio rappresenta la struttura di un sistema politico internazionale e, come indicano le frecce, influenza sia le interazioni fra stati sia le loro caratteristiche: pur mantenendo la propria autonomia ogni stato si trova in una relazione precisa con gli altri, formando così un qualche tipo di ordine.
Dato che alcuni stati potrebbero in ogni momento usare la forza, tutti gli stati sono costretti ad essere preparati a questa eventualità o sono altrimenti condannati a vivere alla mercé dei loro vicini militarmente più forti fra gli stati, lo stato di natura è uno stato di guerra = situazione in cui ogni singolo stato può decidere autonomamente sul ricorso alla forza e in cui la guerra può scoppiare in qualsiasi momento.
Tuttavia, se l’uso possibile ed effettivo della forza contraddistingue sia l’ordine nazionale sia quello internazionale, allora non è possibile tracciare alcuna distinzione duratura fra i 2 settori in termini di uso/non uso della forza: sia a livello nazionale che internazionale, il contatto genera conflitto che a volte sfocia nella violenza.
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La differenza fra la politica nazionale e internazionale si trova nella diversità dei modi di organizzarsi per impiegare la forza: un regime effettivo ha il monopolio dell’uso legittimo della forza = la forza politica è organizzata con lo scopo di prevenire e contrapporsi all’uso privato della forza. I cittadini non hanno bisogno di prepararsi a difendere se stessi, perché esistono organi pubblici per questo.
Le diversità fra le strutture nazionali e quelle internazionali si riflettono nel modo in cui le unità di ogni sistema definiscono i propri fini e sviluppano i mezzi per il loro raggiungimento:
negli ambiti anarchici, unità uguali agiscono per mantenere una certa indipendenza e possono anche sforzarsi di raggiungere l’autarchia
negli ambiti gerarchici, le unità differenziate diventano strettamente interdipendenti in misura sempre maggiore tanto più va avanti il processo di specializzazione
A causa della differenza di strutture, l’interdipendenza interna e quella internazionale risultano essere 2 concetti distinti. La struttura della politica internazionale, infatti, limita la cooperazione fra gli stati in 2 modi:
1. quando gli stati si confrontano con la possibilità di cooperare per il bene reciproco l’insicurezza li spinge a concentrare le proprie preoccupazioni sulla ripartizione del guadagno
2. anche la prospettiva di ampi guadagni in termini assoluti per entrambe le parti non produce la cooperazione fra esse sin tanto che esistono timori sul modo in cui l’altro utilizzerà le aumentate possibilità è la condizione di sicurezza, o almeno di incertezza riguardo alle intenzioni e le azioni future dell’altro, a lavorare contro la cooperazione.
Il benessere mondiale aumenterebbe certamente se prendesse piede una divisione del lavoro ancora più elaborata, ma in questo modo gli stati si metterebbero in una condizione di sempre più stretta interdipendenza. Per gli stati piccoli e con poche risorse i costi di una simile scelta di indipendenza appaiono eccessivamente alti; ma gli stati che possono opporsi a divenire sempre più vincolati agli altri generalmente in un modo o nell’altro lo fanno.
a livello nazionale, viene premiata ogni unità capace di specializzarsi per accrescere il proprio valore relativo → l’imperativo nazionale è specializzazione
a livello internazionale, lo stimolo alla base dell’azione degli stati è la necessità di mettersi in condizione di poter provvedere a se stessi quando non è possibile contare sugli altri → l’imperativo internazionale è provvedi a te stesso
L’auto-difesa è il principio necessario dell’azione in ordine anarchico. Se una situazione di auto-difesa comporta alti rischi (ad es. la guerra) essa è anche una situazione in cui i costi organizzativi sono bassi. Dentro un ordine internazionale i rischi possono essere evitati o diminuiti istituendo enti con autorità effettiva e promulgando un sistema di regole. Le organizzazioni hanno almeno 2 scopi:
1. svolgere le proprie funzioni istituzionali
2. conservare se stesse come organizzazioni → molte delle loro attività sono rivolte verso questo secondo obiettivo.
Come organizzazioni gli stati lottano per conservare se stessi e devono a volte ricorrere all’uso della forza contro elementi e aree dissidenti la prospettiva di governo mondiale sarebbe un invito a prepararsi ad una guerra civile mondiale: gli stati non possono affidare poteri direttivi ad un organismo centrale a meno che tale organismo non sia in grado di proteggere i propri membri. Maggiore è la potenza dei membri e più grande tale potenza appare come una minaccia per gli altri, e più grande deve essere il potere riposto nel centro. Ma più grande è il potere del centro e più forte è l’incentivo a iniziare un conflitto per averne il controllo → le guerre fra stati non definiscono questioni di autorità e di diritto, ma determinano soltanto la distribuzione dei guadagni e delle perdite fra i contendenti e stabiliscono per un certo periodo la gerarchia del più forte.
Motivazioni e risultati possono anche essere disgiunti: le strutture, infatti, fanno sì che le azioni abbiano conseguenze diverse da quelle volute. In tali situazioni gli individui sono vittime delle tirannia delle piccole decisioni: fin tanto che si lascia inalterata la struttura, non è possibile che dei mutamenti nelle intenzioni o nelle azioni di attori particolari producano risultati desiderabili. Le strutture possono essere cambiate solo cambiando la distribuzione delle potenzialità fra le unità. L’altra possibilità è costituita dall’imposizione di prescrizioni collettive laddove prima erano gli individui a decidere per se stessi. Il problema è che il comportamento razionale, date le costrizioni strutturali presenti, non conduce ai risultati voluti. Non si comprende la profondità del problema fin tanto che non ci si rende conto che l’intelligenza e la buona volontà non sono sufficienti a scoprire programmi adeguati e metterli in pratica.
I comportamenti degli stati sono strettamente identificati con l’approccio alla politica suggerito dalla definizione di realpolitik, i cui elementi principali sono:
l’interesse dei governanti rappresenta la fonte dell’azione
le necessità della politica della politica derivano dalla concorrenza senza regole fra gli stati
il calcolo basato su tali necessità è in grado di individuare le politiche che meglio servono gli interessi di uno stato: la prova ultima della validità della politica è il successo = conservazione e rafforzamento dello stato
Mentre la realpolitik indica i metodi attraverso cui è condotta la politica estera, la teoria dell’equilibrio pretende di spiegare il risultato prodotto da tali metodi. La maggior parte della confusione a proposito di questa teoria deriva dalla mancata comprensione di 3 punti:
1. inizia con degli assunti sugli stati: gli stati sono attori unitari che cercano come obiettivo minimo la propria conservazione e come obiettivo massimo il dominio universale
2. si aggiunge la condizione di operatività: gli stati coesistono in un sistema basato sull’auto-difesa, in cui non è presente alcun agente superiore che possa negar loro l’uso di qualsiasi strumento che sia giudicato utile per il raggiungimento dei loro scopi.
3. pretende di spiegare un risultato che può non concordare con le intenzioni di alcuna delle unità le cui azioni congiunte producono quel risultato. La teoria dell’equilibrio è spesso criticata perché non spiega le politiche particolari degli stati. Ciò è vero, ma bisogna ricordare che una teoria ad un determinato livello di generalità non può risolvere questioni su soggetti a un livello differente di generalità.
La teoria dell’equilibrio descrive la politica internazionale come realtà competitiva: il destino di ogni stato dipende dalle risposte che esso dà alle azioni degli altri stati. Tuttavia, proprio la competizione produce una tendenza verso l’uguaglianza dei competitori: gli stati contendenti, infatti, imitano le innovazioni militari introdotte dal paese che ha maggior potere e capacità inventiva gli armamenti e le strategie dei maggiori contendenti tendono a divenire assai simili fra loro in tutto il mondo.
Dalla teoria si predice, dunque, una forte tendenza sistemica verso l’equilibrio. NB: tale aspettativa non parla della conservabilità dell’equilibrio una volta raggiunto, ma porta alla previsione che un equilibrio, una volta spezzato, sarà restaurato in un modo o nell’altro.
Waltz descrive l’anarchia e la gerarchia come se ogni ordine politico potesse appartenere solo all’una o all’altra. Tutte le società sono miste e i loro elementi costituiti da entrambi i principi ordinatori, anche se, in genere, è possibile identificare facilmente il principio da cui è ordinata una società. Dire che ci sono casi limite (cioè società che non sono chiaramente anarchiche né chiaramente gerarchiche) non significa dire che questo limite costituisce un terzo tipo di sistema.
Nell’analisi di Waltz non c’è, dunque, spazio per alcuna riflessione sulla natura umana: l’attenzione è concentrata sulla struttura del sistema e la visione del ruolo dei governanti nella conduzione della politica estera li riduce quasi a meri esecutori di scelte determinate dai vincoli strutturali internazionali con cui devono fare conti. Eppure, negli scritti di Waltz, non è difficile scorgere un riconoscimento della dimensione etica della politica internazionale pressoché identico a quello del realismo classico: i concetti chiave usati da Waltz hanno un aspetto normativo:
sovranità statale = possibilità di decidere, condizione solitamente indicata con il termine “indipendenza” → dichiarare che l’indipendenza è un diritto equivale a prendere atto di una norma riconosciuta. Waltz presuppone, inoltre, che per gli stati valga la pena di battersi, confermando così l’esistenza dei valori normativi della sicurezza e della sopravvivenza degli stati
interesse nazionale: per i realisti classici, è la bussola di una politica estera responsabile, un concetto morale che i governanti devono difendere e promuovere; per Waltz, invece, è come un segnalatore automatico che impone ai governanti quando e come agire.
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Emerge una caratteristica distintiva del neorealismo: pur puntando a elaborare una spiegazione scientifica della politica internazionale, Waltz non può fare a meno di utilizzare concetti prettamente normativi. Sotto questo aspetto, il neorealismo waltziano non è poi così lontano dal realismo classico o neoclassico, come invece lascerebbe pesare la pretesa scientificità della sua teoria.
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