Leopardi e il conflitto con lo Stella editore
A contribuire all'incavolamento leopardiano arrivò la pretesa di Stella di pubblicare per la prima volta le Operette Morali nella Biblioteca amena. Leopardi, inviperito, costrinse infine lo Stella a fare altra collocazione all'opera, per i Tipi. Intanto del commento a Marcabelli non se ne fece più nulla. Ma la storia del commento petrarchesco non finisce qui. A Firenze, infatti, gli editori Borghi ne trassero un compendio, una storpiatura disse Leopardi, nel 1827. Nel 1839 ne uscì un'altra per la Passigli, parcamente rivista e corretta e preceduta da una Prefazione dell'interprete fatta da Leopardi, che adombrava la possibilità di dare alla luce un commento filologico e una “storia dell'amore del Petrarca conforme al concetto della medesima che ho nella mente: la quale storia, narrata dal Poeta nelle sue Rime, non è stata fin qui intesa né conosciuta da nessuno come pare a me che ella si possa intendere e conoscere, adoperando a questo effetto non altra scienza che quella delle passioni e dei costumi degli uomini e delle donne”. Leopardi torna a insistere sul fatto che la natura del suo commento non era da attribuire a lui ma alla natura dei destinatari, cioè gli associati alla Biblioteca amena, tornando a fare trapelare una verità che tutti coloro che fino ad ora si erano occupati del Commento non avevano adocchiato a dovere. Il fatto cioè che il commento non era il frutto di un'operazione liberamente assunta e di una liberà volontà, ma di una volontà coatta, stretta nelle maglie di un progetto editoriale non certo consonante con la sua natura, con le inclinazioni dell'autore.
Volendo meglio analizzare la faccenda, analizziamo direttamente il Commento, senza le intermediazioni testuali di cui ci siamo serviti fino ad adesso. Troviamo un commento freddo, senza alcuna nota erudita, senza note che non dessero più conto che del nome dei personaggi storici o mitologici, senza appunti linguistici che non fossero quelli indirizzati a dare un corrispettivo moderno di quanto differisse foneticamente o morfologicamente dall'uso. Un commento che Nencioni definisce esclusivamente parafrastico ed esplicativo. Qualche esempio? Le spiegazioni sulle forme non dittongate pote/puote; la forma apocopata della seconda persone singolare del verbo essere Se'/Sei; la costruzione diretta di sequenze che in Petrarca figuravano come anastrofi.
Leopardi insomma smonta e trasferisce il Canzoniere da un linguaggio trecentesco poetico, dedicato ad un pubblico colto e attento, ad un linguaggio ottocentesco prosastico che non cercava altro che emozioni o sentimenti, a volte addirittura uno specchio per i propri.
Il risultato era naturalmente un desolante testo impoverito e azzerato nei suoi valori storici e culturali, annientato nella cifra evocativa e connotativa, impoverito dagli esplicamenti logici spesso solo intuitivi in Petrarca, normalizzata la sintassi. Voi possedete ed io piango il mio bene diventa voi possedete il mio bene e io lo piango, con annullamento dello zeugma.
Un testo che come dice la Noferi,è secco, e senza olio che lo lubrifichi. Un intervento, dice Contini, di desolato e desolante rigore illuministico, volto ad una totale semanticità della lingua al di fuori di ogni storia. Ma non siamo d'accordo con Contini, quanto meno nell'affermare che quella di Leopardi fu una decisione personale e voluta. È vero che Leopardi scrisse allo Stella declinando l'offerta di stendere una piccola introduzione critica al commento appena terminato, sostenendo che da Petrarca c'era poco da cavare e la sua introduzione, a modo suo, certo non avrebbe giovato a quel commentino elementare. Ma probabilmente si riferiva al suo lavoro di commento, non all'opera propria di Petrarca.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Gherardo Fabretti
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- Università: Università degli Studi di Catania
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Esame: Filologia della letteratura italiana
- Docente: Antonio Di Silvestro
- Titolo del libro: Leopardi commenta Petrarca
- Autore del libro: Rossella Bessi
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