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Le pergamene sottratte a Messina, 1679


Il fortunato rinvenimento nell'Archivio Ducal Medinaceli di Siviglia di tutte le pergamene sottratte a Messina nel 16790 consentì l'autopsia dell'archetipo dal quale erano state tratte le copie studiate dagli storici dell'Ottocento e del Novecento e l'esame ha portato a nuove conclusioni.
Il testo tràdito dalla pergamena che stava nell'archivio cittadino non presenta varianti di rilievo rispetto a quello passato nelle copie e poi successivamente edito da Giardina. La grafia dell'originale è una nitida scriptura notularis che per evidenza paleografica va datata al secolo XII ex. o al XIII in.  Il raffronto tra il documento messinese e un diploma dell'11 gennaio 1195 che reca ancora il sigillo aureo pendente ed è scritto dallo stesso protonotaro Alberto che vergò il testo di cui ci occupiamo, mostra una identità di grafia che non lascia dubbi sull'autenticità dell'atto emanato da Enrico VI il giorno stesso del suo arrivo a Messina. Dunque aporie e incongruenze storiche devono trovare una spiegazione diversa.
Limitando l'analisi al tema in questione va osservato che la principale critica mossa all'autenticità del diploma nasce dalla presenza di una disposizione unica nel panorama della monarchia meridionale e sorprendentemente simile a quelle dei Comuni del Nord Italia. Il documento del 1194 risulta infatti immediatamente analogico alle formule giuridiche usuali del feudo ligio, attestata nell'esempio di Vercelli. In entrambi i casi lo stampo feudale garantisce la supremazia di un Comune sul territorio circostante e contiguo. Come per la fidelitas eporediese, così anche qui le città adiacenti devono prestare obblighi a Messina. Per di più il diploma imperiale usa una formula assai generica – manutentere honorem Messanae – che di fatto permette larga libertà di stabilirle.
Fatto ancora più sorprendente è che l'unico limite previsto per l'obbligo vassallatico riguarda il sovrano, ma non esclude che le città e le terre possano essere impegnate a prendere le armi contro loro eventuali signori e perfino contro altri centri demaniali. Infine, poteri tanto ampi gravavano su un territorio di enorme estensione, nel quale si trovavano centri episcopali come Patti e Catania, aree ad intensa produzione granaria come Lentini e Milazzo. Dal punto di vista territoriale, in quest'epoca, una simile latitudine di poteri non aveva pari nemmeno a Settentrione.

Tratto da LA VALLE D'AGRÒ di Gherardo Fabretti
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