Economicità aziendale: definizione ed equilibrio economico
Esprime la capacità dell’azienda di perdurare nel tempo ottemperando adeguatamente ai propri fini istituzionali.
L’impresa si trova in EQUILIBRIO ECONOMICO (o autosufficienza economica) quando riesce ad ottenere entrate capaci di remunerare congruamente sia i fattori in posizione contrattuale (ad es. i fornitori) sia i fattori in posizione residuale (in particolare, il capitale di rischio).
Ricavi = Remunerazione fattori in posizione contrattuale + Congrua remunerazione fattori in posizione residuale.
Rischio ontologico: rischio di non veder congruamente remunerato il capitale apportato dall’imprenditore o dai soci (capitale di rischio).
Il Test di Congruità: La remunerazione del capitale investito risulta congrua se, tenuto conto del rischio e dell’eventuale opera di lavoro apportata dall’imprenditore, essa è in linea con quella ricavabile dai migliori investimenti alternativi.
Il tasso “iC” che quantifica tale remunerazione (remunerazione congrua) è scomponibile in 3 componenti fondamentali: i1, che rappresenta il compenso per il puro investimento di capitale; i2, che rappresenta il compenso per lo specifico rischio sopportato; i3, che rappresenta il lavoro imprenditoriale eventualmente prestato.
Il componente “i1” non tiene conto né del rischio né del lavoro eventualmente prestato all’imprenditore (e non remunerato contrattualmente). Rappresenta pertanto il rendimento che si ottiene dal miglior investimento alternativo privo di rischio. Nella realtà non esistono investimenti completamente esenti da rischio. Tuttavia, per calcolare tale componente, si è soliti assumere come termini di paragone i rendimenti netti (al netto cioè dell’inflazione) degli investimenti in titoli di Stato come CCT e BTP decennali.
Il componente “i2” deve tener conto della perdita media delle aziende operanti nel settore e della probabilità che tale perdita si verifichi. ESEMPIO: Se in un settore che conta 1000 aziende ve ne sono 100 (cioè il 10%) che registrano una perdita media pari al 20% del Capitale, avremo che: i2 = (perdita media) x (probabilità di perdita), quindi(0,20) x (0,10) = 2%.
Il componente “i3” è determinabile come rapporto tra il compenso medio percepito da chi copre una carica direzionale e l’ammontare della somma investita. ESEMPIO: Se il compenso medio dei dirigenti è 50 e il capitale investito è1.000 avremo che: i3 = (compenso medio) / (capitale investito) i3 = (50) / (1.000) = 5%.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Moreno Marcucci
[Visita la sua tesi: "L'Internal Auditing nella Letteratura Internazionale"]
- Università: Università degli Studi Roma Tre
- Facoltà: Economia
- Esame: Economia aziendale
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