I caratteri del colonialismo fascista
Il colonialismo italiano nel periodo fascista è un fenomeno complesso. Accanto ai grandiosi progetti di creazione di infrastrutture (ne furono realizzate di veramente notevoli sia nell’AOI che in Libia), ai tentativi di modernizzazione economica, ai miglioramenti dell’urbanistica delle città, si alternarono fenomeni fastidiosi come l’italianizzazione forzata, figlia della retorica imperiale fascista, le leggi razziali e gli espropri di terra in favore dei coloni italiani. Proseguendo un sogno che era stato proprio anche dell’Italia liberale, il fascismo tentò anch’esso in Africa il cosiddetto colonialismo demografico, ovvero incentivò il trasferimento dei contadini italiani nei nuovi possedimenti coloniali. Ciò comportava in molti casi l’esproprio delle terre migliori agli indigeni; ma anche quando ciò non avveniva bastava la semplice decisione di fissare per iscritto la proprietà delle terra per stimolare malumori o rivolte (specie nei territori rurali dell’Etiopia, dove vigevano ancora forme di proprietà collettiva e dove la sovranità effettiva del governo coloniale italiano lasciva ancora molto a desiderare).
Nonostante i grandi sforzi, il tentativo di insediare in Africa la manodopera in eccesso si rivelò del tutti impraticabile. Non disponiamo di cifre del tutto sicure, ma si ritiene che negli anni immediatamente precedenti la seconda guerra mondiale, quindi nel momento più alto del nostro colonialismo, (esclusa l’Eritrea che in quanto colonia primigenia vantava una comunità italiana pari a quasi il 10% della sua popolazione), la percentuale degli italiani nelle altre colonie rimanesse del tutto marginale; prendendo le stime più alte: 120 mila in Libia, 60-100 mila in Etiopia, 45-70 mila in Eritrea, poco più di 10 mila in Somalia. E tenendo conto che solo una piccola parte di questi risiedevano nelle campagne dedicandosi all’agricoltura… si comprende evidentemente come gli italiani preferivano emigrare in America piuttosto che fare i contadini in Africa.
Il colonialismo italiano, anche nel periodo fascista, fu poco redditizio perché si investì molto in termini di infrastrutture, tentativi di modernizzare e costi militari veri e propri, senza tuttavia riuscire ad innescare un vera e propria economia coloniale, con scambio di prodotti agricoli e materie prime in cambio di prodotti lavorati dalla madrepatria. L’AOI e la Libia erano povere di risorse minerarie e non si immaginò che sotto quello “scatolone di sabbia” potessero esserci grandi giacimenti di petrolio. Ciò ha spesso fatto pensare ad un colonialismo poco sfruttatore, nel senso che al di la delle ingiustizie e dei soprusi (specie durante il ventennio fascista), ha dato in termini di infrastrutture ed investimenti produttivi pressappoco ciò che ha preso. È difficile stabilire queste cose e molto probabilmente impossibile, e comunque non varrebbe ad attenuare il giudizio morale di un azione di deliberata conquista verso regioni, come la Libia e l’Etiopia, che erano già oraganizzate autonomamente in stati e che stavano da sole evolvendosi economicamente e socialmente, anche senza il “contributo” italiano, in ogni caso duramente pagato col sangue.
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