Il colonialismo italiano in Africa
Sul perché del colonialismo in generale abbiamo già molto discusso; se i benefici pareggiassero i costi economici oppure no, è argomento ancora controverso. Nel caso dell’Italia però la questione trova subito una risposta unanime: all’Italia il colonialismo non conveniva in termini economici. L’Italia post-unitaria non era una potenza industriale ma principalmente agricola, non aveva capitali ingenti da allocare, anzi. L’unica materia che forse abbondava allora nel nostro paese era la forza lavoro, la popolazione. Molto spesso economisti e politici italiani guardarono alle colonie come a possibili sbocchi per i contadini senza terra; tuttavia la portata di questi sbocchi fu senza dubbio molto sopravalutata e, comunque, l’emigrazione italiana prenderà sempre altre vie rispetto a quelle che portavano alle colonie italiane, dove le prospettive di sistemarsi erano più scarse che non, ad esempio in America, nonostante i governi e la lingua fossero stranieri. Possiamo quindi affermare che l’idea delle colonie come mete per l’emigrazione fosse stata sostanzialmente un grosso abbaglio, se non un vero e proprio errore.
L’Italia si gettò nella corsa coloniale sostanzialmente per motivi politici e di prestigio nazionale. Era diffusa l’idea, sia presso strati della popolazione borghese e nazionalista, sia fra i ranghi della politica, sia all’interno di Casa Savoia, che l’Italia dovesse avere almeno qualche colonia in Africa per potersi proporre nello scenario internazionale come potenza di medio calibro e importante attrice nello scenario mediterraneo. Questo pensiero raggiunse l’apice al congresso di Berlino, quando si comprese che la spartizione dell’Africa era iniziata e che ogni potenza intendeva prendervi parte; se l’Italia voleva dimostrare di essere pari agli altri paesi europei non poteva tirarsi indietro.
Al di la di questo spingevano perchè venisse adotta una politica coloniale alcuni strati del clero (interessati a favorire l’opera missionaria in Africa) e alcuni ambienti industriali, marcatamente il settore dell’industria bellica e cantieristica e la marina mercantile. Tuttavia queste pressioni non sarebbero certo bastate se fosse mancata la volontà politica di perseguire una certa politica di potenza.
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