L'ideologia nell'arte
L'ideologia nell'arte
E l'ideologia? "L'ideologia si svuota dai contenuti socio-politici e diviene ideologia esistenziale, volontà di potenza, necessità esistenziale; la prima coscienza dell'essere nell'arte". Discernere e distinguere le istanze di una reale avanguardia, definendone le possibili strategie, è il proposito di questo saggio. Dopo le visioni escatologiche della storia che hanno caratterizzato non solo le avanguardie artistiche del '900, ma persino, in certa misura, le concezioni postmoderne riferibili alla "fine della modernità", o alla cosiddetta "fine della storia", o all'"ultima avanguardia possibile" o addirittura all'"ultimo Dio" (si tratti qui del dio della Tecnica, come sostengono molti esegeti della nostra epoca, oppure di ciò che potrebbe risultare da quella "mutua comprensione" tra culture diverse evocata speranzosamente da Gadamer in una recente intervista) eccoci comunque giunti, a quanto pare, ad una strana fase di passaggio tra il vecchio e il nuovo secolo. Scudero evoca tale condizione già nel titolo del suo libro: Avanguardia nel presente. Egli non è certo un neofuturista, pur essendo indubbiamente interessato all'avvenire dell'arte. Ma non è neppure un nostalgico della "presenza perduta", pur dichiarandosi favorevole alla ricerca di uno "stacco classico" rispetto all'odierno tempo frenetico in cui ogni scritto tende invece a consumarsi nel mito di una presunta leggerezza e trasparenza del linguaggio. Egli, insomma, non è classificabile tra i ragionieri del sistema dell'arte, ma neppure tra quei nuovi apocalittici che ci ripropongono ancora qualche usurato effetto speciale da fine del mondo simulata al computer. Abbiamo qui un testo molto denso che è l'esatto contrario, appunto, di quel linguaggio giornalistico reso in genere (forse dalle stesse caratteristiche del medium usato, oppure dalla fretta, dall'incuria o dall'insipienza degli scriventi) così "automatico" da provocare una sorta di anestesia totale nel destinatario. Testi che perlopiù si distruggono durante la loro stessa lettura. Tali, dunque, da non lasciare quasi mai tracce durevoli nella mente del lettore. Dato che nel caso in questione non si tratta di un testo puramente promozionale, ma di un lavoro propriamente critico, mi chiedo se la complessità del testo di Scudero non sia anzitutto dovuta alla difficoltà oggettiva di afferrare in termini logici il senso di questo curioso paradosso: è infatti molto difficile, se non impossibile, prendere la parola in nome dell'Altro, senza che proprio in virtù di questo medesimo discorrere di un "altrove" (le cui tracce però, in qualche misura, possono mostrarsi già qui ed ora) si tenda fatalmente a ricondurre tale alterità intravista a partire da questo "guardare avanti a sé" (tipico, appunto, dell'avanguardia), alla semplice identità e prevedibilità del Medesimo. Il rischio, dunque, è sempre quello di far coincidere la visione dell'altro con la nostra stessa immagine riflessa in uno specchio. Occorre qui fare molta attenzione alle persistenti insidie della dialettica, al fascino del dialogo tranquillizzante, ossia al sogno ermeneutico della "fusione di orizzonti", o alla spensierata celebrazione odierna di quella convivialità gastronomica che in nome di una comunicazione facile o che si presume perfettamente vicendevole e simmetrica - ad esempio tra i navigatori della Rete - finisce spesso per eludere il problema tipico di ogni avanguardia: quello di essere pur sempre affermazione o testimonianza del radicalmente eterogeneo anziché del sempre uguale a se stesso.
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