Il bilancio delle guerre persiane e la lega di Delo
Le vittorie di Platea e Micale non posero fine alla conflittualità fra greci e persiani, ma avendo ormai dovuto rinunciare (i persiani) all’idea di conquistare la Grecia ed essendo d'altronde per i greci impensabile l’idea di conquistare la Persia, le ostilità fra i due popoli continuarono ma secondo un profilo molto più modesto, in cui periodi di calma venivano interrotti da piccoli scontri armati, in cui né greci né persiani si impegnavano veramente per annientare l’avversario.
I meriti della vittoria erano stati ugualmente di spartani ed ateniesi, ma furono questi ultimi a sfruttarne a proprio vantaggio le conseguenze. Ciò era dovuto alla struttura del sistema politico e sociale spartano, tutto improntato ad un estremo conservatorismo. Così, subito dopo Platea e Micale, gli spartani furono costretti a rientrare nel Peloponneso, temendo che la permanenza dell’esercito all’estero potesse essere sfruttata dagli ioliti per ribellarsi. Sparta del resto non aveva alcun interesse ad espandersi: la sua economia era basata esclusivamente sullo sfruttamento estremo degli ioliti che coltivavano la terra per gli appena 15'000 spartiati, gli unici a godere dei diritti politici e il cui unico compito era il mestiere delle armi.
Così gli ateniesi rimasero i soli a gestire la situazione. Le città ioniche, infatti, temendo il ritorno del Re di Persia, sconfitto ma pur sempre temibile, si riunirono in alleanza, mosse dal comune obiettivo di continuare a mantenere greco il Mar Egeo e fronteggiare eventuali nuovi attacchi persiani. L’alleanza, che fu istituita nel 477, prese il nome di Lega di Delo, poiché il tesoro comune era conservato appunto nell’isola di Delo, posta al centro dell’Egeo e considerata sacra dai greci, e perché proprio a Delo si riunivano in assemblea i rappresentanti delle polis iscritte per decidere il da farsi. Originariamente vigeva un regime di assoluta uguaglianza ed ogni polis disponeva di un solo voto, tuttavia ben presto Atene assunse una posizione nettamente dominate. Il patto, del resto, già riconosceva ad Atene un ruolo guida, mentre le altre polis erano tenute a contribuire all’alleanza inviando contingenti di truppe oppure pagando un compenso sostitutivo in denaro (la cui riscossione era affidata agli ateniesi). Questo meccanismo, che si rivelava conveniente per le polis, che incontravano maggiori difficoltà nel fornire uomini e navi che non denaro, si trasformò però ben preso in un sostanziale tributo ad Atene, che assicurando da sola (o quasi da sola) la difesa militare, acquisiva un potere molto grande.
Intanto ad Atene Temistocle (che si ricorderà dal precedente capitolo era colui che aveva insistito per dare battaglia a Salamina anziché ritirarsi nel Peloponneso), riuscì ancora una volta a convincere i suoi cittadini della sua visione politica. Egli riteneva, molto acutamente, che la ricchezza e il potere ingentissimi che Atene stava accumulando da dopo la fine della guerra contro i persiani tramite la Lega di Delo e la sua egemonia commerciale e navale, avrebbero prima o poi condotto Sparta, la storica rivale, alla guerra contro Atene per limitarne il potere. Per questo egli propose con successo all’Assemblea di costruire una lunga cinta muraria che unisse la città al suo porto, il Pireo, che fu a sua volta fortificato e munito di un grande arsenale per la costruzione e la manutenzione delle navi. Si trattava di un’opera colossale per l’epoca, ma che avrebbe risolto ogni problema difensivo di Atene, che essendo imbattibile sul mare avrebbe potuto sostenere qualunque assedio da terra, anche quello di Sparta, il cui terrestrissimo esercito era ancora in quel momento il più forte del mondo (essendo come si è visto le armate persiane decisamente inferiori a quelle greche).
L’opera di Temistocle fu approvata, ma ad Atene i fautori di una politica di accordo con Sparta rimanevano lo stesso numerosi. Si creò così una contrapposizione tra due ‘partiti’ che avrebbe dominato la vita politica ateniese per tutto il secolo: uno moderato, più vicino agli interessi dei contadini agiati e degli aristocratici, e favorevole ad un politica di pace ed equilibrio con i vicini; uno radicale, con gli interessi rivolti al mare ed a una politica di espansione sia verso la Persia che verso le altre polis greche, espressione diretta degli strati più modesti della popolazione, che trovavano lavoro nella costruzione delle Lunghe mura o nella flotta.
Tra queste due fazioni si sviluppò una lotta politica spesso aspra, della quale fu vittima anche Temistocle, che per certi suoi difettucci caratteriali (storielle di “fondi neri”) fu ostracizzato nel 470. Trovò rifugio presso la corte del re di Persia, dove fu ben accolto e dove morì a sessantacinque anni, nel 459. L’uomo più influente di Atene divenne allora Cimone, il figlio di Milziade (il generale che aveva vinto a Maratona), sotto la sua guida riprese la collaborazione con Sparta. Egli infatti diresse la volontà espansiva ateniese conto il nemico di sempre, l’Impero persiano, contro il quale proseguì con vigore le operazioni militari.
Ma anche Cimone dovette presto cedere il potere, scalzato dalla “tangentopoli” fatta emergere dal democratico Efialte (poco dopo assassinato), che aveva mostrato agli ateniesi gli intrallazzi e i giochi di potere con i quali il partito aristocratico cercava di influenzare le decisioni dell’Areopago. E dal risentimento provocato nell’orgoglio ateniese, dal malo modo con cui gli spartani avevano congedato i contingenti militari ateniesi, dei quali essi avevano chiesto l’aiuto per stroncare la ribellione degli ioliti messeni che andava per le lunghe. A seguito di questi eventi, il potere in Atene fu assunto da, Pericle, uomo che pur essendo di nobilissime origini era a capo del partito democratico, favorevole ad una politica di allontanamento da Sparta.
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