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Esempio della qualificazione del leasing


Un esempio significativo si ha nella qualificazione del leasing.
Si tratta di precisare che cosa accade se l’utilizzatore nel corso del godimento del bene smette di pagare il canone mensile.
In base alla disciplina generale il contratto di leasing è un contratto ad esecuzione continuata o periodica, sicché l’inadempimento comporta la risoluzione, la quale non ha effetto retroattivo tra le parti (art. 1458 c.c.) e non si estende alle prestazioni già eseguite.
Ne segue che la società di leasing riacquista la proprietà del bene e non deve restituire i canoni già pagati.
Diversa è la disciplina del tipo legale della vendita con riserva di proprietà: il compratore acquista la proprietà della cosa col pagamento dell’ultima rata del prezzo, ma assume il rischio al momento della consegna; in caso di inadempimento del compratore, ai sensi dell’art. 1526 c.c., il venditore deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto ad un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno.
Resta da precisare se nel caso del leasing si debba applicare la regola contenuta nella disciplina generale del contratto oppure la norma contenuta nel tipo legale della vendita con riserva di proprietà.
Se ragioniamo col metodo della sussunzione, l’art. 1526 c.c. non sarebbe applicabile perché il leasing non è totalmente riconducibile alla vendita con riserva di proprietà: ne segue che si applicherebbe solo la disciplina generale dei contratti (ciò appare dalla giurisprudenza teorica e pratica irragionevole e errato).
La qualificazione deve individuare la disciplina applicabile all’interesse che le parti hanno voluto realizzare in concreto: si dovrà allora valutare la concreta operazione eseguita (la causa in concreto).
L’utilizzatore può avere necessità di quel bene, ma il suo interesse finale potrebbe non essere quello dell’acquisto.
Il dato che può orientare tale ricerca è l’analisi di ciò che si è fatto, in particolare con riferimento al canone.
Se le rate del canone esauriscono il valore del bene, la fase finale di acquisto non ha più significato, quindi ci si accorge se l’intenzione delle parti era quella di conservare una concreta finalità traslativa o meno: se il canone coincide con il valore del bene, la funzione traslativa non c’è; se, invece, l’importo dei canoni è inferiore al valore del bene, accade che al momento dell’opzione il bene conserva un suo valore e allora la scelta dell’utilizzatore se acquistare o no è una scelta significativa e il leasing conserva la funzione traslativa.
È evidente l’utilizzo del metodo della causa in concreto; e la giurisprudenza e la dottrina distinguono un leasing di godimento e un leasing traslativo.
Questa distinzione serve a ricercare la disciplina applicabile: se il leasing è di godimento, in caso di risoluzione si applicherà l’art. 1458 c.c.; se il leasing è traslativo, invece, in caso di risoluzione si applicherà l’art. 1526 c.c.

Tratto da DISCIPLINA GIURIDICA DEI CONTRATTI di Stefano Civitelli
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