Caratteristiche dell'arbitrato rituale
Caratteristiche dell'arbitrato rituale
Cercando, ora, di offrire specifici approfondimenti, partiamo dall'osservazione di quella forma di arbitrato che, per essere disciplinata in modo completo dal codice di rito, chiamiamo normalmente rituale.
L'arbitrato rituale è un fenomeno perfettamente alternativo alla giurisdizione statale, nel senso che l'arbitro risolve la controversia secondo quello stesso modo giurisdizionale che, altrimenti, avrebbe seguito il giudice pubblico. L'arbitro è, ovviamente, un privato e non un organo dello Stato, per cui non si può affermare che egli sia titolare di una quota della giurisdizione statale (art. 813.2: agli arbitri non compete la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio).
Tuttavia, la sua attività è sostanzialmente giurisdizionale, perché egli risolve la lite pronunciando, a seguito di un processo, che, se può essere convenzionalmente disciplinato, deve in ogni caso rispettare i principi dell'imparzialità del giudice e del contraddittorio, un allo che ha la funzione e la struttura di una sentenza, ossia di un allo di normazione concreta derivante da una previa, necessaria, operazione di sussunzione giuridica.
La decisione dell'arbitro è indubbiamente un atto privato, ma esso non è un negozio giuridico, perché non ha le caratteristiche del negozio giuridico, bensì, appunto, le caratteristiche della sentenza, cosa ormai riconosciuta esplicitamente dal legislatore quando all'art. 824-bis c.p.c. dispone che «il lodo ha dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria».
Insomma quella arbitrale è un'altra giurisdizione, che vive ai margini dell'ordinamento statale ed è da questo riconosciuta pienamente, almeno da quando le norme statali hanno attribuito efficacia vincolante al lodo senza necessità di un atto giurisdizionale pubblico che lo recepisca (vedi gli artt. 824 bis e 827.2 c.p.c.: «I mezzi di impugnazione possono essere proposti indipendentemente dal deposito del lodo», dai quali emerge chiaramente come la sentenza privata abbia effetti di per sé a livello di ordinamento statale).
L’ARBITRATO RITUALE E LA COSTITUZIONE
Il riconoscimento di un'altra giurisdizione non viola alcuna norma costituzionale.
Gli artt. 24.l, 25.1, 102.1 Cost. non enunciano il principio per cui quella giurisdizionale non potrebbe che essere attività di organi pubblici. Lungi dal sancire il monopolio della giurisdizione in capo allo Stato, le dette norme vogliono solo imporre allo Stato un duplice dovere: quello di approntare un sistema di tutela giurisdizionale e quello di strutturare tale sistema nel rispetto di alcuni valori fondamentali, tra i quali spiccano l'indipendenza e l'imparzialità dei giudici e il principio del contraddittorio.
In altri termini, se lo Stato non può esimersi dal fornire la tutela giurisdizionale, il legislatore ordinario può, però, anche riconoscere il possibile operare di altre giurisdizioni e dare agli atti di queste il suo riconoscimento.
Piuttosto dalla Costituzione emergono due indicazioni importanti in materia di arbitrato.
La prima dall'art. 24.1: se ad ognuno è garantito il diritto di agire in giudizio, la via alternativa dell'arbitrato è legittimamente percorribile solo se basata sul consenso degli interessati, per cui, per un verso, non è ammissibile un arbitrato imposto e, per altro verso, il legislatore ordinario deve approntare meccanismi di controllo per verificare che quel consenso si sia validamente formato e sia stato validamente manifestato (art. 829.1 n. 1 c.p.c.: il lodo è impugnabile per invalidità della convezione di arbitrato).
La seconda, dall'art 111.2: se ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, davanti ad un giudice imparziale, essendo l'arbitrato rituale un'attività sostanzialmente giurisdizionale, il legislatore deve approntare dei meccanismi che garantiscano la vigenza di detti principi anche nel processo privato (art. 829.l n. 9 c.p.c., per cui il lodo è annullabile se nel procedimento arbitrale non è stato osservato il principio del contraddittorio, e l'art. 815 c.p.c., in cui è prevista la ricusazione degli arbitri per un complesso di motivi che ricalcano, con qualche aggiunta, gli stessi motivi per i quali è possibile la ricusazione del giudice statale).
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Autore:
Beatrice Cruccolini
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- Università: Università degli Studi di Perugia
- Facoltà: Giurisprudenza
- Esame: Procedura civile
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