Lavorio figurale e semantica dei toni
Cuore selvaggio (Wild at Heart) è un film che non inizia, si innesca piuttosto come una miccia che esplode troppo presto, come un attentato alla “buona forma” dei generi. A stento si comprende come possa pretendere di procedere in modo così svagato, inanellando vicende fumettistiche e variazioni dissolute intorno alla mediocrità contemporanea.
L’ambiguità dei toni è già presente in qualche modo in Eraserhead, anche se in quel caso essa si risolve in una superiore coerenza: le linee isotopiche che progressivamente si dipanano fungono da forze centripete che assorbono spinte ironiche eccentriche. In Eraserhead ogni latente ironia è inascrivibile all’enunciazione, è una sorta di ironizzazione subita (da parte di un mondo inospitale e da forze costrittive) che viene infine vinta. L’improbabilità figurativa della “donna del radiatore1” è la riconquista (da parte del protagonista) di uno spazio della sensazione e della condivisione ove attingere un’energia gestibile e fruibile; ma ciò non vale per il soggetto dell’enunciazione che letteralmente si sconnette dal mondo possibile.
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