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Empirismo sperimentalistico in Hume



Sin dalla sua prima opera che diventerà fondamentale per lo sviluppo del suo pensiero Trattato sulla natura umana (1740) sviluppa il suo progetto più grande quello di costruire una scienza sistematica della natura dell’uomo. Sin dall’antichità secondo Hume si sono sviluppati due tipi di filosofia che non hanno condotto a risultati soddisfacenti: da una parte un tipo di filosofia “facile ed ovvia” che si è limitata a cercare argomenti retorici più persuasivi per convincere l’uomo a essere virtuoso. Dall’altra parte un genere di filosofia “rigorosa e profonda” che però è spesso scaduta nell’intellettualismo. Questo filosofare deve essere allora corretto con un’analisi empirica che anziché costruire un’immagine astratta della natura, studi sperimentalmente i fenomeni in cui essa si manifesta in analogia con le scienze fisiche. Questa scienza della natura umana deve avere carattere sistematico e investire tutti i campi da quello gnoseologico a quello etico e politico. Questo suo empirismo sperimentalistico conduce ad una rigorosa critica della metafisica che completa e radicalizza l’opera iniziata da Locke. Hume individua allora nella percezione l’unica fonte della conoscenza umana: esse però si distinguono in impressioni (percezioni immediate) e idee (percezioni sbiadite dalla memoria). Si tratta allora delle stesse percezioni considerate in due momenti diversi. Noi possiamo benissimo costruire idee come il centauro sommando due percezioni differenti: per giudicare la fondatezza di un’idea bisogna allora risalire alle impressioni di cui essa si compone: solo se tali impressioni troveranno pieno riscontro nella realtà saranno fondate. Questa stretta dipendenza delle idee dalle impressioni dimostra anche l’impossibilità di idee generali o astratte: si tratterà sempre di un’impressione particolare e quindi di un’idea particolare (quell’uomo e non l’uomo); le idee astratte sono solo nomi che noi assegnamo a cose che presentano reciproca somiglianza. Per questo motivo non esistono idee innate nel senso che non dipendono dall’esperienza (anche se Hume preferisce non utilizzare questo termine per non incorrere in ambiguità).

Tratto da FILOSOFI DELL'ETÀ MODERNA di Carlo Cilia
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