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Verum-factum e critica a Cartesio di Vico



Alcuni dei motivi caratteristici della riflessione vichiana li troviamo nelle Orazioni inaugurali: egli più denuncia l’esigenza, per fare storia, di uno studio più approfondito e attento delle discipline morali, intendendo non solo l’etica ma anche il diritto e le discipline umanistiche. Questo disinteresse è dovuto al fatto che mentre le discipline della natura appaiono più certe, queste a buon diritto vengono trascurate perché troppo precarie.
Nel De antiquissima Italorum sapientia Vico approfondisce attraverso lo studio dell’etimologia di alcuni termini, la sua gnoseologia. Egli sostiene allora che la parola “vero” e la parola “fatto” per la loro comune origine etimologica coincidono. Da qui egli allora fa scaturire la sua teoria del Verum – factum: può essere conosciuto con certezza dall’uomo, ciò di cui l’uomo stesso è l’autore. A partire da questa concezione Vico determina l’origine e il valore di verità delle diverse discipline in cui si articola l’umano sapere. Dio può conoscere tutto perché conosce gli elementi semplici, da cui ogni cosa complessa è formata e le loro aggregazioni. L’uomo invece deve procedere analiticamente o risolutivamente cioè per scomposizione. La scienza umana ha sezionato l’uomo in corpo e anima: dal corpo ha tirato fuori concetti come figura e moto, mentre dall’animo l’intelletto e la volontà; e così via fino a giungere agli elementi semplici che non sono necessariamente veri, ma che risultano astrazioni. Come tali però essi ci permettono di non cadere in quel “vizio d’origine” o “difetto della mente” che non ci permette di conoscere a fondo il mondo della natura; essi anzi ci danno l’opportunità di costruire un universo verosimile di cui l’uomo è artefice e all’interno del quale egli può spaziare nell’indagare la natura delle cose. Ecco in cosa il criterio del verum-factum è concretamente utile ed efficace: attraverso gli esperimenti l’uomo simula la natura ed è in grado di conoscerla verosimilmente perché tali esperimenti sono in toto (dalla scelta degli elementi metafisici allo studio di tali elementi) il frutto del fare dell’uomo.
In conseguenza di Ciò Vico giunge a criticare aspramente il cogito cartesiano: anche uno scettico sa di pensare e quindi di esistere; ma essa non è scienza, ma coscienza. Si ha scienza quando conosciamo la generazione o il farsi della cosa. Cartesio sa di esistere ma non sa come; dunque la sua non è conoscenza vera. Nonostante il cogito sia evidente dunque certo esso non è necessariamente vero: è bene allora distinguere l’evidenza dalla verità.

Tratto da STORIA DELLA FILOSOFIA MODERNA di Carlo Cilia
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