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Dialettica del pensare in Gentile

Dialettica del pensare in Gentile



L’errore fondamentale di tutta la tradizione filosofica fino a Hegel è stato quello di cercare il pensiero (e quindi la realtà che dipende dal pensiero) fuori dall’atto del pensiero. Alla base di tale errore sta il metodo della trascendenza, consistente nel porre qualcosa di altro rispetto al pensiero in atto. Gentile allora ad una dialettica del pensato che considerava il pensiero stesso come oggetto, così da poterne studiare i suoi meccanismi, oppone una dialettica del pensare per la quale l’essere di partenza è il pensiero pensante, e quindi riconoscendo l’essere non come oggetto ma come atto di pensare, che si sviluppa continuamente. Per questo motivo Gentile è d’accordo con Vico nell’affermare che la verità non è un dato, ma un farsi, ossia svolgimento. Perciò Gentile oppone al logo astratto (che esprime la posizione tradizionale di dialettica) che concepisce la verità come già determinata, il logo concreto che no conosce un mondo che già sussiste come un dato fisso e irrigidito. Il pensiero in atto non è limitato da qualcosa di esterno, egli sussiste in sé e per sé; ma la sua attività è strettamente legata al “pensare qualcosa” e questo può farlo soltanto negandosi e ponendo l’altro da sé, la realtà, che Gentile chiama fatto o natura. Ma i fatti o la natura per Gentile sono errori poiché non rappresentano più l’atto pensante ma si trasformano in pensato.

Tratto da STORIA DELLA FILOSOFIA CONTEMPORANEA di Carlo Cilia
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