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L’opera buffa


Per tutto il primo secolo della sua storia il melodramma è un genere riservato ad argomenti e personaggi seri, alti, eccezionali. Solo in vari episodi e in ruoli secondari fanno qua e là capolino personaggi comici.
Ma ai primi del Settecento comincia a prendere forma un tipo di spettacolo improntato esclusivamente a situazioni e protagonisti comici. Lo sviluppo di un sottotipo di melodramma, quello comico, sarebbe stato una conseguenza dell’evoluzione e della riforma di quello serio.
All’inizio del XVIII secolo, si registrano due tipi di spettacolo che segnano una svolta importantissima nella storia del melodramma. Si tratta degli intermezzi e della commedia per musica in dialetto napoletano.
Gli intermezzi sono spettacoli che si rappresentano negli intervalli di altre opere (musicali o recitate) e che presentano ben presto anche quello della breve pièce comica. In genere si tratta di due atti, con pochissimi personaggi, perché lo spettacolo deve essere breve, poco costoso, a effetto. Nati a Venezia e poi esportati un po’ ovunque, gli intermezzi comici conoscono un grande successo, almeno per qualche anno, anche nella città più importante per la nascita del dramma giocoso, Napoli.
L’importanza degli intermezzi sta non solo nella proposta di uno spettacolo interamente comico, con situazioni, tipi e soluzioni da commedia dell’arte, ma nell’elaborazione di forme espressive che saranno riprese tanto dall’opera buffa quanto, poi, dall’opera seria. Innanzitutto, l’ispessimento del personaggio, rispetto al suo equivalente nella commedia dell’arte, a opera della musica, che comincia a scavare nella sua psicologia, a renderne il carattere meno tipicizzato e prevedibile.
L’intermezzo offre i primi casi di dialogicità, di movimentazione discorsiva dell’aria che si ritroverà poi nell’opera buffa.
La commedeja pee mmuseca in dialetto napoletano è un fortunato esperimento del teatro partenopeo del primo Settecento e introduce in un teatro musicato l’abbozzo di una moderna rappresentazione della vita quotidiana, con personaggi e situazioni comuni, popolari; comici per ambiente e livello linguistico culturale, più che o oltre che per ridicolaggine e scurrilità. Non mancano testi di un certo «impegno» anche polemico anche se presto il genere evolve verso un teatro più ideologicamente «sterilizzato» e meno realistico, progressivamente abbandonando il dialetto per l’italiano o perlomeno sostituendo al monolinguismo dialettale un plurilinguismo dialetto/lingua. Ne risulta una esibizione di plurilinguismo drammaturgico che resta tipica del Settecento e che di fatto comporta anche una riduzione dell’impatto realistico dei primi testi a favore di un comico più verbale e caricaturato.
Il gioco delle lingue resterà uno dei piatti fissi dell’opera che poi verrà detta «buffa», e dominerà il teatro musicale del secondo Settecento.
La commedia napoletana per musica e poi l’opera buffa intrattengono rapporti stretti con il teatro di parola e sviluppano quindi lunghi recitativi, zone dialogate e narrative, interrotte da arie e pezzi chiusi e strofici. A differenza dell’opera seria, la commedia per musica comincia a elaborare soluzioni espressive che consentivano di ridurre le distanze fra i due assi portanti della drammaturgia musicale. Tra queste spiccano i concertati, pezzi chiusi in cui più personaggi cantano contemporaneamente, sia in dialogo tra di loro che per conto proprio, da soli o riuniti in gruppi, su dinamiche diverse e sempre più «strepitose». Questa soluzione sarà esplorata più a fondo dall’opera buffa vera e propria, cui il concertato si addiceva per la sua capacità di mimare scene di confusione, di eccitazione e sorpresa, stabilmente previste nei finali d’atto dalla sua drammaturgia.
La loro collocazione preferita, anche quando saranno recuperati dall’opera seria, resta quella dei finali, d’atto e ultimo, dove era più sfruttabile sul piano drammaturgico la loro dirompente vitalità espressiva e meglio situabile su quello musicale la strepitosa agitazione del loro tempo conclusivo.
Nel corso del secolo i duetti, i terzetti, i vari tipi di concertato, in generale le zone di canto a più voci aumentano di numero e di lunghezza nell’opera comica.
Arie discorsive, dinamiche e pezzi d’insieme denotano una riduzione della distanza tra sezioni musicali e sezioni recitate del teatro operistico, riduzione che l’opera buffa pratica per prima e molto più vistosamente di quella seria.

Tratto da DA MONTEVERDI A PUCCINI di Anna Bosetti
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