Skip to content

L’esercizio dell’avente diritto: art. 51 c.p.


Fondamento:

Il fondamento si ravvisa nel “principio di non contraddizione”.
Consiste nella prevalenza riconosciuta all'attuazione dell'interesse per il quale il diritto è riconosciuto, sul contrapposto interesse protetto della norma penale; prevalenza che l'ordinamento non può non riconoscere per evitare inammissibili antinomie (se l’ordinamento riconosce al soggetto la possibilità di agire in certo modo, è evidente che la sua condotta, nei limiti in cui è consentita, non può costituire un fatto illecito => sarebbe contraddittorio che, da un lato, la legge attribuisse, ad es., la servitù di passaggio nel giardino altrui, e dall'altro punisse il medesimo comportamento come violazione di domicilio).
Il principio dell’unità dell’ordinamento costituisce la chiave di volta per comprendere come una norma attributiva di un diritto o impositiva di un dovere possa “prevalere” su una norma incriminatrice necessariamente legislativa, quale che sia il rango della prima, sempre però che siano dalla prima rispettate le regole sulla produzione giuridica e sia utilizzabile uno dei criteri per la soluzione del conflitto tra norme.
Affinché l'esercizio del diritto scrimini, è logicamente necessario che la sua previsione sia derogatoria rispetto a quella incriminatrice, e non viceversa; che quindi la fattispecie autorizzativa  sia speciale rispetto alla fattispecie penalmente rilevante, perché la prima racchiude in sé gli elementi compresi nella seconda, qualificati o integrati da requisiti ulteriori su cui si fonda il riconoscimento del diritto.  

Norma penale speciale rispetto a quella facultizzante

La situazione inversa, e cioè che la norma penale sia speciale rispetto a quella facultizzante, implica che la previsione incriminatrice costituisce un limite all'esercizio del diritto, che non può allora svolgersi oltre il confine segnato dalla norma penale.
Così, ad es., la facoltà del proprietario di recidere i rami protesi e le radici sporgenti dagli alberi dei vicino (art. 8961 c.c.) costituisce un'ipotesi speciale rispetto al delitto di danneggiamento (art. 6351 c.p.): l'autorizzazione prevale sul divieto.
Il divieto di incendiare la cosa propria con pericolo per la pubblica incolumità (art. 4232 c.p.) rappresenta invece una forma particolare di atto dispositivo sottratto alla “pienezza” ed “esclusività” della facoltà di disposizione riconosciuta in via generale al proprietario della cosa (art. 832 c.c.): il divieto prevale sul diritto, in quanto ne limita il contenuto.
Non è sempre agevole stabilire se sia la fattispecie autorizzativa a circoscrivere quella penale, derogandovi, o viceversa, perché non sempre il contenuto tipico delle due disposizioni risulta ugualmente determinato, in modo da consentire il loro raffronto in termini logico-letterali (come negli es. sopra).
Il problema è particolarmente spinoso nel caso di diritti costituzionali, il cui riconoscimento è espresso in genere con enunciati di portata assai comprensiva. Così, ad es., l'art. 211 Cost. attribuisce a tutti “il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero” con qualsiasi mezzo; ma anche la diffamazione (art. 595), l'ingiuria (art. 594 c.p.), l'apologia di delitto (art. 414 3 c.p.) e in genere la serie dei c.d. reati di “espressione”, costituiscono forme di manifestazione del pensiero.
Criterio ermeneutico

Il criterio ermeneutico da seguire nella soluzione del problema muove dalla premessa che, in base alla gerarchia delle fonti, la legge penale ordinaria non possa stabilire limiti o introdurre deroghe all'esercizio di diritti costituzionali; tuttavia, il diritto costituzionalmente riconosciuto non può considerarsi illimitato: la Costituzione stessa, attribuendo rilevanza ad interessi diversi, suscettibili di entrare in conflitto con quello per cui è attribuito il diritto, postula l'esigenza di un contemperamento. Es. il diritto di manifestare il proprio pensiero deve essere conciliato con il riconoscimento dei “diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” (art. 2 Cost.), tra i quali rientra il diritto alla vita, all'integrità fisica, all'onore ed alla reputazione.  

Dietro l’apparente ovvietà dell’art. 51 si pone invece solitamente una complessa questione interpretativa diretta a stabilire quale interesse debba prevalere in una data situazione di fatto potenzialmente riconducibile all’ambito applicativo di due norme opposte quanto ad effetti giuridici. A parte l’ipotesi in cui tra le due norme sussista un rapporto di specialità unilaterale con la conseguenza che la loro relazione strutturale consente di individuare univocamente quella tra le due prevalente, negli altri casi si tratta piuttosto di mettere in relazione i due interessi configgenti nella situazione data, al fine di verificare quale debba prevalere: risulterebbe necessaria una interpretazione di tipo sostanzialistico => le possibili soluzioni interpretative in ordine al rapporto tra le due norme configgenti riflettono diversi gradi di prossimità tra i due interessi.

Tratto da DIRITTO PENALE di Beatrice Cruccolini
Valuta questi appunti:

Continua a leggere:

Dettagli appunto:

Altri appunti correlati:

Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:

Puoi scaricare gratuitamente questo appunto in versione integrale.