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Il principio di umanità della pena


Il contenuto necessariamente afflittivo della pena pone l’esigenza di una “garanzia esterna” in nome dei diritti fondamentali dell’uomo affinché la dignità della persona umana non venga perduta di vista dal potere punitivo dello Stato. Da questo fondamento trae origine il principio dell’umanità della pena. Tale principio è enunciato nella Cost. all’art. 27.3: “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”. Il principio è enunciato anche in numerosi documenti internazionali, tanto che viene considerato una norma internazionale generalmente riconosciuta (art. 11.1 Cost.) e “uno dei valori fondamentali delle società democratiche che costituiscono il Consiglio d’Europa”.  

Assolutezza e relatività del principio di umanità della pena

Sorta di contraddizione nel principio di umanità della pena:
da un lato => esso ha carattere assoluto, nel senso che il limite che esso pone allo Stato nella previsione legislativa delle tipologie sanzionatorie è inderogabile, non essendo in alcun modo e per nessuna ragione giustificabili delle pene inumane;
dall’altro => esso può avere carattere relativo, nel senso che il livello in cui si colloca quella soglia minima di umanità non può che dipendere dalle condizioni e dalla sensibilità sociali di un certo periodo storico e di una determinata area culturale. La ragione fondamentale della relatività contenutistica del principio di umanità risiede fondamentalmente nel fatto che qualunque pena, per il solo fatto di essere tale, ha un ineliminabile componente di inumanità, cioè di sofferenza e di umiliazione volontariamente date. Con la conseguenza che il limite, il divieto delle pene inumane ha una natura necessariamente “quantitativa”.


Tratto da DIRITTO PENALE di Beatrice Cruccolini
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