Interpretazione della domanda portata al colloquio
E’ importante che abbiamo chiara la differenziazione una percezione ingenua del rapporto che si instaura tra due soggetti in particolare in una consultazione e la sua versione complessa quindi quello che possiamo vedere rispondere a una struttura nella quale il soggetto ci interpella come sempre interpella l’altro decisivo significativo della sua posizione non a titolo di conforto diciamo così della sua immagine ma a titolo di verità della sua questione, questione che filtra attraverso il sintomo.
Il punto a cui il nostro intervento di operatori è mirato è la questione costitutiva del soggetto
Il desiderio degli operatori è esattamente ciò che permette quell’avvaloramento della questione del soggetto che prima giace in una rimozione inesorabile e che può essere suscitata soltanto perché qualcuno diciamo così se ne prende cura. Per fragile che sia la sua domanda , per fragile che sia la base operativa da cui partiamo è pur vero che da lì può essere in qualche modo prodotta attraverso i mille rivoli, con qualunque caratterizzazione diamo alla tecnica noi se occupiamo questo posto siamo comunque nelle condizioni di operare un certo cambiamento.
Se uno viene li e ci dice “io voglio un trattamento breve” non ci sentiamo narcisisticamente ben sostenuti dalla sua domanda ma questo non ci fa che bene e quindi potremmo chiedergli perché così , di cosa a paura nel lungo ecc… possiamo, a partire da quella fragilità, allargare il discorso come vogliamo, a condizione che non stiamo lì in risposta alla sua determinazione in fondo che non assumiamo il vestito che lui ci ha tagliato ma che gli mostriamo ci sta stretto che ne possiamo parlare di quel vestito.
Questo serve a sentire che noi non siamo quello schermo su cui sta proiettando ma siamo un’altra cosa ugualmente centrata sull’ascolto a lui ugualmente interessata anzi decisamente interessata a quello che ci sta dicendo ma non necessariamente nei termini che lui vuole.
Un po’ di lezioni fa dicevo che mostrare di non aver capito bene vi toglie dall’idea di essere o schermo in automatico rispetto a quello che lui, gli fa sentire che siete un po’ spostati rispetto al punto in cui lui vorrebbe incollarvi …se vi conquistate la possibilità di spostarvi piuttosto in A, quindi nel posto dell’altro simbolico, un posto che è sempre un pochino vuoto perché dovete lasciare spazio ad altra cosa che non alle vostre risposte.
E’ chiaro che qui su questo asse noi collochiamo tutte le modalità di rapporto che tendono a coinvolgerci in quanto simili al nostro paziente in quanto nell’immaginario che produce noi siamo il suo partner immaginariamente sullo stesso piano e siamo in parte sullo stesso piano gli diciamo buon giorno..gli diamo la mano , lo facciamo accomodare ci preoccupiamo se è in ritardo…ma ciò che ci contradistingue accade nel momento in cui ci spostiamo da questa fissazione immaginaria e per questo diciamo che questo è l’asse simbolico del transfert quindi l’asse che evoca nel soggetto la pregnanza se posso dire della sua questione.
Non operiamo a correggere , a saturare i malesseri, a ripristinare la condizione di benessere precedente o riagghindare socialmente il soggetto.Noi siamo lì anche ma perchè no se riusciamo va benissimo ma la questione che eticamente ci vincola non è a quel livello è al livello del permettergli di dire la sua verità.
Ecco perché la metafora, l’idea di metaforizzazione è importante perché non ce lo dirà mai nei nostri termini tecnici ma ovviamente ce lo dirà con le sue parole e lì c’è una certa difficoltà perché si tratta di imparare ad ascoltarle queste parole.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Beatrice Segalini
[Visita la sua tesi: "Il panico: un approccio integrato"]
- Università: Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
- Facoltà: Psicologia
- Corso: Psicologia
- Esame: Metodi e tecniche di analisi della domanda nel colloquio psicologico
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