Spritz: il sorriso materno
Il bambino può riconoscersi nello specchio solo se c’è un investimento sulla sua immagine da parte diciamo dello sguardo materno
Vi ricordate Spitz: gli esseri umani nelle prime settimane di vita risposta del sorriso.
Incomprensibile dal puro punto di vista neurologico.
Ha a che fare col fatto che quell’adulto significativo si prende cura di me e rispetto a cui sono alla mercè , mostra di sostenermi nella mia esperienza per esempio di piacere e accompagna questa mia esperienza di piacere con un movimento diciamo così caratteristico della bocca che io come soggetto che dipende da questo adulto in qualche modo imito => e se voi avete esperienza di bambini molto piccoli vedete che c’è un’iniziale smorfia di che si sente che risuona profondamente con l’adulto senza tuttavia essere una decisione consapevole.
Analoga a questa è la così detta angoscia dell’ottavo mese, una sensibilità specifica del bambino nel suo sviluppo rispetto all’entrare in funzione sì o no dell’altro. Dico sì o no perché è lo stesso Spitz che nota che alcuni bambini ugualmente curati, ugualmente sostenuti, ben trattati come altri a un certo momento potevano rifiutare depressivamente le cure, e anche il cibo, fino al punto da lasciarsi morire: accadeva qualche cosa che faceva entrare il bambino d poche settimane in uno stato depressivo molto grave.
Perde, diciamo così, il suo legame con la vita.
Allora Spitz riduce la questione al fatto che non si era arrivati a parlare al bambino, non c’era stato uno scambio di parola che lo riguardasse.
Pensate che cos’è parlare con un bambino piccolissimo, che facciamo istintivamente, è esattamente ciò che collega il bambino al desiderio dell’altro: parlargli è un modo di farlo esistere,
Dunque un accudimento perfetto dal punto di vista formale ma non animato dal desiderio
dell’adulto può non essere efficace e può addirittura portare a morte.
Nelle storie cliniche di bambini molto gravi di solito appare molto precocemente una grande passività, una difficoltà a muoversi che nel bambino piccolo è il segnale che c’è piuttosto di identificazione al morto.
Se vogliamo fare uno schema:
se qui nella B di bambino ci sta un oggetto che in qualche modo risponde di meccanismi
fisiologici, perché diventi un essere umano che si pensa, che si muove come vivente,
occorre che in qualche modo l’altro definisca il suo ambiente, quindi non un ambiente generico ma un altro soggetto che sostiene questo luogo, in qualche modo canalizzi la libido sulla sua immagine perché attraverso questo movimento anche il bambino la
assuma come propria=> è il legame con questo altro che investe l’immagine del bambino che produce per il bambino la possibilità di investimento sulla sua immagine.
È lì che attraverso gli occhi dell’altro, in quanto è significativo per il bambino, che ritorna al bambino la sua immagine come un oggetto interessante ed è lì che lui può riconoscersi in quanto la sua immagine è entrata in un campo di desiderio dell’altro.
Altro non tanto x certe caratteristiche soggettoettive ma come “luogo dal quale emerge x il bambino qual è il suo posto,chi è lui x l’altro”.
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Autore:
Beatrice Segalini
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- Università: Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
- Facoltà: Psicologia
- Corso: Psicologia
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