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Due tipi di logiche - la logica dell’uso e la logica del profitto

Dalle indagini etnografiche che ho avuto modo di ascoltare e studiare ho elaborato l’idea che esistano due tipi di "logiche" nel rapporto tra uomo e Natura: una logica dell’uso e una logica del profitto. La differenza è labile e, forse, contingente.  

La logica dell’uso
è quella propria delle popolazioni che usano la Natura al fine di soddisfare i propri bisogni o poco più: i pigmei cacciano e raccolgono quanto basta per sfamare la propria banda e per scambiare qualcosa con i neri (le popolazioni sedentarie che vivono vicino alla foresta). Durante la raccolta delle termiti, i pigmei prevedono che parte di esse scappino dai buchi presenti nelle ceste e fondino altri termitai. Un altro esempio sono le coltivazioni dei quilombo in Brasile: per esse si disboscano e si bruciano porzioni diverse affinché la foresta riesca a ricrescere negli anni successivi. Ed ancora: i kassena del Ghana stanno bene attenti nell’uso della natura perché potrebbero essere tangwam (luoghi sacri). Anche in Italia ci sono esempi di logica dell’uso: la gestione della palude mantovana da parte dei canaroi è, al di là delle contestazioni ambientaliste, atta a mantenere la palude evitando l’interramento e quindi la scomparsa della palude stessa.

La logica del profitto
, invece, mira a consumare il territorio considerandolo come inesauribile – o forse, pur considerandolo esauribile, si lascia che la voracità prenda il sopravvento.  
Essa si differenzia molto dalla logica dell’uso anche, come ho già accennato, per una questione di contingenza: una popolazione di pochi uomini con mezzi limitati mantiene l’equilibrio del territorio necessariamente in quanto non ha la possibilità materiale di rompere tale equilibrio, limitandosi a cacciare per il suo fabbisogno. Nulla può esimerci dal dubbio che una popolazione di caccia e raccolta, dotata dei mezzi, non decimerebbe la fauna locale per rivenderla sul mercato globale e utilizzarne il ricavato solo per la propria famiglia nucleare e per comprarne beni di consumo tipici del mercato globale (senza, magari, cibarsi nemmeno di uno degli animali cacciati).  

È sicuro però che la monetizzazione – causa ed essenza della logica del profitto – non è stata accolta con entusiasmo dai popoli del mondo ad oggi esistenti: nelle isole della Polinesia i soldi, prima di essere spesi, vengono accartocciati; i Nuer del Sudan considerano il denaro sterile e non viene utilizzato per le compensazioni matrimoniali in cui vige ancora l’usanza di donare capi di bestiame.   
Inoltre, la logica del profitto crea disagio nel modo di percepire la propria esistenza in luoghi dove non fu presente fino a tempi recenti: i contadini di Bijampur in India, a seguito dell’introduzione di nuove tecniche agricole e di nuove varietà di riso destinate al mercato, mostrano il loro disagio definendo ibride le coltivazioni, il tempo e la loro stessa condizione umana.  
Un capo degli Yanomami (popolo amazzonico) racconta di come lo "spirito-vapore" Xawara esce dalle miniere d’oro sfruttate dai bianchi per distruggere tutte le popolazioni, comprese quelle dei occidentali.  Questo può far intuire come questo popolo non condivida la voracità con la quale l’uomo sfrutta la natura.  

Una delle vittime più eclatanti della logica del profitto è il lago d’Aral, al confine tra Uzbekistan e Kazakistan: la sua quasi estinzione fu accelerata dall’utopia URSS di rendere la steppa un giardino.   
La logica del profitto non mette a rischio solo l’esistenza dei laghi, ma quella delle culture stesse: gli Uroni, agricoltori del Canada, vissuti fino alla metà del XVII secolo, si ritrovarono a cacciare al fine di vendere le pellicce al mercato occidentale. Qui la logica del profitto portò all’uso dei fucili donati a loro dai francesi. Gli Irochesi, vicini degli Uroni, furono invece indotti alla logica del profitto dagli olandesi. Ben presto la concorrenza sul mercato si trasformò in guerra che, grazie all’uso delle armi da fuoco, portò all’estinzione degli Uroni da parte degli Irochesi.
 
A seguito della regolamentazione dei siti sacri, i kassena si sono trovati in una logica del profitto legata all’addestramento dei coccodrilli a fini turistici. Tali coccodrilli sono addestrati e sfamati anche grazie allo stesso turismo. Ma, per guadagnare di più, gli addestratori speculano sulla vendita dei polli (acquistati dai turisti) destinati a sfamare i coccodrilli sacri. Questi rettili, solitamente docili, soddisfano la loro fame in episodi tragici dovuti, quindi, ad un’alterazione di una gestione della natura che ha funzionato finché non è intervenuta la logica del profitto.

In quest’ultimo caso, la logica del profitto è subentrata tramite la gestione della natura a fini ambientalisti, sicuramente nobili ma che hanno bisogno di una consapevolezza maggiore delle aree su cui applica i suoi principi. 

Tratto da LOGICA DEL PROFITTO, NATURA E CULTURA di Mariano Mercuri
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