I rimedi ammessi nei confronti delle ordinanze cautelari
L’ordinanza cautelare adottata dal collegio, di regola ha effetto fino alla sentenza che definisce quel grado di giudizio.
Se il giudizio si estingue, la misura cautelare perde la sua efficacia.
L’ordinanza che provvede su una istanza cautelare non “fa stato” nel giudizio: anche le eventuali valutazioni circa la fondatezza dei motivi di ricorso non producono alcun vincolo sulla sentenza.
Inoltre l’ordinanza è passibile di revoca, su richiesta della parte che vi abbia interesse e, nel caso di rigetto dell’istanza cautelare, l’istanza può essere riproposta.
Può essere richiesta la revoca dell’ordinanza in caso di sopravvenienza di elementi nuovi, esterni rispetto al giudizio, quali il mutamento della situazione di fatto e il mutamento della situazione di diritto.
Nei confronti dell’ordinanza del Tar che decide sull’istanza cautelare è consentito, inoltre, l’appello al Consiglio di Stato.
A differenza dell’istanza di revoca, l’appello è ammesso non per fatti nuovi, sopravvenuti dopo l’ordinanza cautelare, ma per l’”ingiustizia” dell’ordinanza stessa: l’appellante chiede il riesame dell’ordinanza da parte del giudice di secondo grado.
L’appello va proposto entro 60 giorni dalla notifica dell’ordinanza; il giudizio prosegue poi secondo le regole previste per l’appello contro le sentenze, fermo restando che anche in secondo grado la decisione è assunta con ordinanza.
Secondo il Consiglio di Stato l’ordinanza che nel giudizio amministrativo provvede sulla richiesta di provvedimento cautelare sarebbe stata passibile di appello perché avrebbe avuto carattere “decisorio”.
Il carattere decisorio era desunto dal fatto che l’ordinanza cautelare provvede su una specifica domanda della parte, diretta all’attribuzione di un beneficio sostanziale diverso dall’annullamento del provvedimento impugnato; inoltre, il processo cautelare ha una certa autonomia rispetto al processo si annullamento.
Il valore pratico del dibattito sul carattere “decisorio” delle ordinanze cautelari è superato dalla espressa previsione, nella legge, dell’appellabilità di queste ordinanze.
Nel processo amministrativo, specie nel giudizio d’impugnazione, le posizioni delle parti non sono equilibrate, dal punto di vista sostanziale, perché il ricorso non ha “effetto sospensivo” e il provvedimento impugnato continua a produrre i suoi effetti anche nel corso del giudizio.
A questa situazione di disparità di ricollega perciò l’esigenza di forti garanzie affinché la pronuncia del giudice sull’istanza cautelare sia il più possibile “giusta” e appropriata.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Stefano Civitelli
[Visita la sua tesi: "Danni da mobbing e tutela della persona"]
- Università: Università degli Studi di Firenze
- Facoltà: Giurisprudenza
- Esame: Diritto Amministrativo II, a.a 2007/2008
- Titolo del libro: Lezioni di giustizia amministrativa
- Autore del libro: Aldo Travi
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