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Definizione di accanimento diagnostico e terapeutico


Non si dimentichi che in ogni caso l’unico titolare delle decisioni che riguardano il proprio corpo e l’unico che è legittimato a disporne (entro limiti di cui all’art. 5 c.c.) è l’assistito in persona.
Nessun medico, col pretesto di rispettare e preservare la vita, può arrogarsi il diritto di infliggere a degli esseri umani qualunque terapia e instaurare a sua discrezione qualunque trattamento, soprattutto se cruento.
    Sul piano deontologico, si è sempre sostenuto che non si è obbligati all’uso di mezzi straordinari allorché questi siano inutili e quando la vita del paziente sia ormai segnata o si trova a poca distanza dall’evento mortale.
In verità tale regola che è obiettivamente che assai poco applicabile in pratica, sia per la difficoltà di stabilire quali siano in concreto i “mezzi straordinari”, sia per l’impossibilità di provare con certezza che il paziente si trovi realmente a così poca distanza dalla morte che quei mezzi siano effettivamente del tutto inutili.
    Gran parte degli autori preferisce oggi parlare di mezzi proporzionati e sproporzionati rispetto ai benefici che è possibile ottenere: sono leciti, legittimi e doverosi in ogni caso i mezzi proporzionati; illeciti gli altri e quelli non consentiti dalla persona assistita.
    Per prendere una qualsiasi decisione sospensiva del trattamento si dovrà tener conto comunque del desiderio dell’ammalato e della sua volontà e solo in questo senso, nel caso di sua incapacità, è utile consultare i familiari.
L’art. 34 del codice deontologico così dispone: “il medico, se il paziente non in grado di esprimere la propria volontà il caso di grave pericolo di vita, non può non tener conto di quanto precedentemente manifestato dallo stesso”: appare chiaro l’implicito riferimento alle cosiddette direttive anticipate espresse in epoca non sospetta dallo stesso assistito e che possono essere distinte in:
a. living will (testamento in vita): si tratta di indicazioni concernenti il consenso circa gli eventuali accertamenti e trattamenti sanitari, da assumere in caso di perdita della propria capacità di decisione autonoma;
b. durable power of attorney: si tratta di una semplice delega a un’altra persona della facoltà di esprimere un consenso valido in sostituzione della propria, nel caso di sopravvenuta incapacità;
c. advance directive: dichiarazione di volontà comprensiva di entrambe le ipotesi precedenti.
Si capisce che il rifiuto di mezzi terapeutici straordinari e sproporzionati rispetto ai prevedibili benefici non equivale al suicidio, né all’eutanasia: significa rifiuto dell’accanimento terapeutico.
    Di fronte a siffatte evenienza, il medico non deve però mai interrompere le cure normali, di cui il malato ha bisogno (le cosiddette cure palliative o sintomatiche).

Tratto da MEDICINA LEGALE di Stefano Civitelli
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