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Il progetto fallito del sindacato unico anticomunista


Il fallimento del sindacato unico anticomunista ebbe cause sia internazionali sia interne.
Le prime sono riconducibili ai contrasti interni sorti nell'ambito dell'AFL dove emersero nuove posizioni che convergevano con la posizione del CIO che aveva sempre auspicato la nascita della terza Confederazione.
Sotto il profilo interno il fattore determinate fu la nuova scissione della corrente socialista autonomista dalla CGIL, che aveva manifestato una crescente irrequietezza da quanto l'uscita della componete democristiana aveva rafforzato l'egemonia comunista dopo l'uscita della corrente cattolica.
Viglianesi, leader della corrente socialista che faceva riferimento alle posizioni di Romita nel PSI, aveva manifestato più volte le crescenti difficoltà di convivenza interna in un sindacato pressato dai comunisti.

Tutto ciò si inseriva in un passaggio difficile della storia del PSI, dopo la sconfitta elettorale del 18 aprile e il congresso straordinario del giugno 1948 dal quale era emersa una forte insofferenza per l'alleanza col PCI. La lotta interna al PSI fu durissima e sfociò nella scissione del gruppo di Romita che diede vita al PSU. A tale scissione seguì, quindi, quella sindacale di Viglianesi.

Il quadro sindacale veniva complicandosi, in quanto, nonostante l'apparente rafforzamento del panorama del sindacalismo anticomunista che ne conseguiva, dal gruppo Viglianesi pervennero segnali di difficile convergenza con le posizioni di Pastore.

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