La disciplina del lavoro intermittente
Il d.lgs. 276/2003 ha introdotto anche nuove tipologie contrattuali ad orario flessibile, tra le quali va ricordato il lavoro intermittente (o a chiamata), che può essere considerato come una particolare declinazione dello schema generale del lavoro a tempo parziale.
Con il contratto di lavoro intermittente (il quale può essere stipulato anche a tempo determinato) il lavoratore mette le proprie energie lavorative a disposizione del datore di lavoro, il quale può utilizzarle per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente (cioè nei casi di prestazioni da effettuarsi il fine settimana, durante le ferie estive, ovvero durante le vacanze natalizie e pasquali).
In assenza di disciplina collettiva, le attività per le quali è consentito il lavoro intermittente sono quelle previste dal r.d. 2657/23, contenente l’elenco delle occupazioni che richiedono un lavoro discontinuo o di semplice attesa e custodia, rilevante anche in materia di orario di lavoro.
Il contratto di lavoro intermittente può essere concluso “in ogni caso” per lo svolgimento di prestazioni rese da soggetti con meno di 25 anni di età ovvero da lavoratori con più di 45 anni di età.
Invece, al pari di quanto stabilito per la somministrazione, è vietato il ricorso a questo tipo di contratto per la sostituzione di lavoratori in sciopero, per l’adibizione a mansioni ricoperte da lavoratori licenziati collettivamente o posti in Cassa integrazione guadagni.
Per la stipulazione del contratto di lavoro intermittente il legislatore richiede la forma scritta ai fini della prova di numerosi elementi fondamentali, quali la durata, l’ipotesi (soggettiva o oggettiva) che ne consente la stipulazione, il luogo e la modalità della disponibilità eventualmente garantita dal lavoratore ed il relativo preavviso di chiamata (che non può comunque essere inferiore a 1 giorno lavorativo), il trattamento economico e normativo, nonché l’indennità di disponibilità (ove dovuta), i tempi e le modalità di pagamento, ecc…
Ai fini dell’applicazione di normative di legge, il prestatore di lavoro intermittente deve essere computato nell’organico dell’impresa in proporzione dell’orario di lavoro effettivamente svolto nell’arco di ciascun semestre.
Per quel che riguarda la disciplina del rapporto, l’attenzione maggiore è rivolta all’ipotesi in cui il lavoratore si obblighi alla c.d. disponibilità, cioè ad accettare le chiamate del datore di lavoro, restando a disposizione dello stesso anche nei periodi nei quali non gli sia stato chiesto di effettuare la prestazione.
Il lavoratore ha diritto ad una indennità, la cui misura deve essere stabilita dai contratti collettivi, ma può legittimamente rifiutare la chiamata solo nel caso di malattia o di altro evento che renda impossibile la prestazione.
Comunque, anche in caso di rifiuto legittimo è prevista la perdita del diritto all’indennità di disponibilità per tutto il periodo di impossibilità.
Ogni altra ipotesi di rifiuto di rispondere alla chiamata è invece considerata inadempimento tale da giustificare la risoluzione del rapporto, la perdita dell’indennità per il periodo successivo al rifiuto, nonché un congruo risarcimento del danno.
Resta ancora da ricordare che la legge sancisce un principio di non discriminazione nei confronti dei lavoratori intermittenti.
Il lavoratore intermittente ha, di conseguenza, il diritto a ricevere un trattamento economico, normativo e previdenziale proporzionato in ragione della prestazione effettivamente eseguita.
Per contro, per tutto il periodo in cui il lavoratore resta a disposizione di un’eventuale chiamata del datore di lavoro, “non è titolare di alcun diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati, né matura alcun trattamento economico e normativo” (salvo l’indennità di disponibilità).
Concludendo, poiché questo tipo di contratto può essere ricostruito come un contratto di lavoro a tempo parziale nel tanto la durata quanto la collocazione temporale della prestazione di lavoro sono lasciate alla determinazione del datore di lavoro l’intero istituto può far sorgere qualche dubbio di legittimità costituzionale, a mente di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza in materia di clausole elastiche.
Continua a leggere:
- Successivo: La disciplina del lavoro ripartito
- Precedente: La specialità del rapporto di lavoro a tempo parziale ed il ruolo della contrattazione collettiva
Dettagli appunto:
-
Autore:
Stefano Civitelli
[Visita la sua tesi: "Danni da mobbing e tutela della persona"]
- Università: Università degli Studi di Firenze
- Facoltà: Giurisprudenza
- Esame: Diritto del lavoro, a.a. 2007/2008
- Titolo del libro: "Diritto del Lavoro" di E. Ghera, "Solidarietà, mercato e concorrenza nel welfare italiano" di S. Sciarra
Altri appunti correlati:
- Microeconomia
- Diritto Amministrativo
- Microeconomia
- Diritto del rapporto individuale di lavoro privato
- Economia Politica
Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:
- Il Salario minimo legale: tra legge e contrattazione collettiva
- Retribuzione proporzionata e sufficiente e ''nuovi lavori''
- Profili giuscommercialistici del decreto 23maggio 2011 n. 79
- Antitrust e tutela dei consumatori: il confronto con le azioni collettive risarcitorie
- Il Costituzionalismo alla prova: il lavoro in Italia e in Unione Europea
Puoi scaricare gratuitamente questo appunto in versione integrale.