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La tutela reale obbligatoria e l’alternativa tra riassunzione e pagamento di una penale


Passando ad esaminare la c.d. tutela obbligatoria, prevista dall’art. 8 l. 604/66 (come sostituito dalla l. 108/90), va detto da un lato che il suo campo di applicazione coincide con l’area esclusa dalla tutela reale, e dall’altro che questa forma “minore” di tutela è espressamente riferita alle sole ipotesi di illegittimità del licenziamento derivanti dalla sua mancata giustificazione.
In effetti, entro il predetto ambito di applicazione la legge prevede che il datore di lavoro, imprenditore o non, sia comunque obbligato a giustificare il licenziamento.
Essa stabilisce che, in assenza di giustificazione, egli “è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro 3 giorni o, in mancanza, a risarcire il danno, versandogli un’indennità” (c.d. penale).
L’importo è determinato dal giudice tra un minimo ed un massimo prestabiliti dalla legge tenuto conto del numero dei dipendenti e delle dimensioni dell’impresa, dell’anzianità di servizio del lavoratore, nonché del comportamento e delle condizioni delle parti (da un minimo di 2,5 mensilità ad un massimo di 6, aumentate a 10 per i dipendenti con più di 10 anni di anzianità, e a 14  per quelli con più di 20 anni di anzianità).
A differenza di quanto accade nell’area coperta dalla tutela reale (nella quale il licenziamento privo di giustificazione viene esplicitamente definito annullabile), nell’area di applicazione della tutela obbligatoria il licenziamento privo di giusta causa o di giustificato motivo, ancorché illegittimo, non è annullabile ma soltanto illecito (e pertanto sanzionato mediante l’obbligazione risarcitoria): l’effetto di estinguere il rapporto di lavoro è egualmente realizzato.

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