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L'indagine filosofica di Protagora


Il primo e più importante esponente della Sofistica fu Protagora, nato ad Abdera intorno al 490 a. C. Fra le opere di sicura attribuzione ricordiamo Ragionamenti demolitori (o Sulla verità) e Le Antilogie. La sua tesi fondamentale risiede nel principio: “L’uomo è misura di tutte le cose, delle cose che sono in quanto sono, delle cose che non sono in quanto sono”. L’uomo è dunque il metro, cioè il soggetto di giudizio, della realtà o irrealtà delle cose.

Sul preciso senso della tesi esistono varie interpretazioni. Una prima, risalente a Platone intende per uomo l’individuo singolo e per cose gli oggetti percepiti attraverso i sensi. La tesi alluderebbe al fatto che le cose appaiono diversamente a seconda degli individui e dei loro stati fisici e psichici.

Una seconda interpretazione attribuisce alla parola uomo un significato universale e alla parola cose quello di realtà in generale. Protagora vorrebbe dire che gli individui indicano la realtà tramite parametri comuni (e perciò è stato accostato a Kant). Per una terza interpretazione Protagora intende dire che ognuno valuta le cose secondo la mentalità del gruppo sociale cui appartiene.

Tali tipi di lettura, pur contenendo ognuno una parte di verità, singolarmente presi sono insufficienti e risultano veri solo se combinati insieme, perché l’uomo protagoreo è misura delle cose ai vari livelli della sua umanità: in primo luogo come singolo, poi come civiltà e poi come specie.

La posizione di Protagora è dunque una forma di umanismo (in quanto ciò che si afferma o si nega intorno alla realtà presuppone sempre l’uomo come soggetto del discorso), di fenomenismo (in quanto non abbia mai a che fare con la realtà in se stessa, ma con il fenomeno, ossia la realtà che appare a noi), di relativismo conoscitivo e morale (in quanto non esiste una verità assoluta ma ogni verità è relativa a chi giudica nell’ambito di una certa situazione).

Uno scritto anonimo, Ragionamenti doppi, vuole dimostrare che le stesse cose possono essere buone o cattive, giuste o ingiuste. Ad esempio che le navi si scontrino, per l’armatore è male, ma per i costruttori è bene. Attraverso questa tesi, Protagora cercava di allenare i discepoli alla discussione. Una risposta filosofica a tale dimostrazione si trova nel Teeteto di Platone. A chi è malato i cibi sembrano amari. Se il malato ha tale opinione non è certo ignorante. Occorre dunque fare in modo che il gusto del malato si modifichi e diventi sano.

La seconda parte dello scritto contiene l’esposizione del relativismo culturale, il riconoscimento della disparità di valori nelle diverse civiltà umane. Se infatti si proponesse a tutti gli uomini di scegliere la migliore tra le varie leggi, ognuno sceglierebbe quella del proprio paese.
Tale relativismo conoscitivo e morale poteva condurre alla tesi della equivalenza ideale delle opinioni. Ma lo sbocco della meditazione protagorea non è una forma di soggettivismo anarchico pronto a legittimare ogni comportamento: Protagora credeva infatti a un principio di scelta.

Nel vuoto di verità forti, l’unico criterio cui l’uomo può attenersi è il principio debole della utilità privata e pubblica. L’utile diviene strumento di verifica delle teorie stesse. Il vero non è qualcosa di dato, ma il verificato come giovevole. Il sofista si presenta come un propagandista dell’utile, un intellettuale che mediante l’arte della parola tenta di modificare le opinioni nel senso dell’utilità.

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