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Oggetto della semiotica

Una disciplina si definisce dal punto di vista scientifico quando ha chiaro qual è il suo oggetto. 
Oggetto è un insieme di fenomeni identificati da caratteri ritenuti comuni e ritagliati in base a ciò in un ambito più vasto. Che la semiotica sia nella sua essenza dottrina dei segni sembra non essere stato mai negato da nessuno. Tale definizione compare fra l’altro in una pagina famosa di Locke, che faceva della semiotica una delle tre branche della conoscenza umana. Identificare l’oggetto della semiotica vuol dire stabilire che cosa si intende esattamente per segno ed elaborare un metodo di analisi adeguato a tale obiettivo.

Una semiotica globale


La distinzione tra Indici naturali interpretabili come segni in base ai saperi e codici posseduti da individui umani e fenomeni culturali destinati alla comunicazione è il primo passo della semiotica.
Charles Morris suggerisce che la semiotica non si occupa dello studio di un particolare tipo di oggetti, ma di oggetti ordinari in quanto partecipi della semiosi. 
La semiosi dipende dal fatto che qualcuno interpreti qualcosa come segno, come alcunché dotato di senso. Tutto può potenzialmente diventare segno purchè vi sia un atto interpretativo a fondare la semiosi. 
Morris faceva riferimento alle teorie di Peirce e costruiva così una semiotica vista prevalentemente dalla prospettiva dell’interprete. Questa idea è stata ripresa con modalità diverse nei decenni successivi, ora facendo della semiosi il perno della vita culturale nel suo complesso, ora ampliandone la portata al di là della realtà umana e delle altre forme animali. 
Sebeok utilizza un concetto allargato di comunicazione, asserendo che essa è la trasmissione di qualsiasi influenza di un sistema vivente da una parte all’altra che produca con ciò delle trasformazioni. 
In questo quadro il programma che è alla base della vita, il DNA, fornisce un modello prototipico di tutte le forme di comunicazione. La semiosi va riconosciuta e indagata in tutte le forme di vita, dalle più umili pianticelle agli organi propri degli animali superiori. Seboek identifica nelle piante, negli animali e nei funghi i tre momenti topici della vita del segno: i produttori all’oggetto che fa da base al processo semiotico, gli ingestori ai segni che istituiscono il problema di rinvio, i decompositori all’interpretante che sposta il meccanismo di rinvio e produce nuove condizioni perché la semiosi riparta ex novo. La linea di ricerca di Sebeok ha avuto il merito di stimolare una proficua apertura interdisciplinare degli studi semiotici.

Semiotica della cultura e significazione


Una prospettiva meno globale di quella di Sebeok è quella promossa da Umberto Eco. 
L’idea centrale è che la cultura umana nel suo insieme sia studiabile come fenomeno di comunicazione. Non si tratta di asserire che tutta la cultura sia di per sé segno o semiosi, ma che possa essere studiata come tale, ogni volta che si riveli l’esistenza di un processo fondante di significazione, questo si rivela solo quando esiste un codice, questo è un sistema di significazione che accoppia entità presenti a entità assenti.
Si da significazione ogni volta che in base a delle regole qualcosa materialmente presente alla percezione del destinatario sta per qualcos’altro.
Di conseguenza ogni processo di comunicazione suppone un sistema di significazione come propria condizione necessaria, mentre non è vero il contrario. 
Da questa impostazione Eco deriva un’ampia ricognizione del campo semiotico aperto alla ricerca: un campo che prende in considerazione tutti i settori in cui si intravedano quelle regolarità che chiamano codici, esorbitanti del settore specifico del linguaggio verbale, per investire tutti gli aspetti della vita umana associata: i sistemi olfattivi, i codici del gusto, la semiotica medica, la cinesica e la prossemica, i miti, i riti, le credenze, ecc… . 
Bisogna aggiungere che Eco evita accuratamente una visione corrispondentistica del codice, come rifugge dal fornire ogni possibile elenco di ciò che va inteso come codice. Propone invece una tipologia delle strategie che gli esseri umani mettono in opera per produrre codici e così previene a soluzioni di grande interesse, soprattutto per quel che riguarda la genesi delle forme artistiche. Possiamo tutti notare che più si allarga la nozione di segno, fino a lasciarla indeterminatamente viaggiare nei percorsi di generazione di senso degli interpreti, più si perde di omogeneità metodologica e più difficile diventa una fondazione tecnica della disciplina. L’impresa semiotica che in Eco trovava a metà anni settanta un potente coagulo implicava un ruolo non solo descrittivo, ma anche analitico e critico per la disciplina.

Linguistica e semiotica


Saussure nell’affermazione di una scienza generale, una scienza che studi la vita dei segni nell’ambito della vita sociale, essa potrebbe far parte di una parte della psicologia sociale, questa parte verrà chiamata semiologia. 
Saussure spiega che la linguistica sarebbe stata solo una parte di questa nuova scienza, che avrebbe trattato anche di altri sistemi di segni; le leggi scoperte dalla semiologia sarebbero state applicabili alla linguistica. 
Saussure cita in primo luogo linguaggi storico-naturali; cita inoltre fenomeni culturali fortemente ritualizzati nei quali è espressa e fortemente codificata un’intenzione comunicativa. 
Barthes sostiene che non ha senso mettere sullo stesso piano linguaggio verbale e altre forme di comunicazione. A suo avviso, non è certo che nella vita sociale del nostro tempo esistano, al di fuori del linguaggio umano, sistemi di segni di una certa ampiezza. Non appena si passa a insiemi dotati di una autentica profondità sociologica, si incontra di nuovo il linguaggio. Il che va inteso nel senso che anche le comunicazioni visive hanno bisogno dell’integrazione e del riscontro della parola e che anche le forme di comunicazione particolari come la moda trovano la propria base esplicativa nei significati verbali che l’accompagnano. La previsione di Saussure andrebbe dunque rovesciata: la linguistica dovrebbe fungere da riferimento per capire tutti gli altri sistemi di segni e le categorie che si ritrovano tipiche della verbalità dovrebbero pertanto formare l’ossatura anche di quest’ultimi. 
Il messaggi Barthesiano per un verso riconosceva la priorità del linguaggio verbale e la sua capacità di tradurre ogni possibile messaggio, finiva però col ridurre al linguaggio verbale tutti gli altri linguaggi.

Una semiotica ristretta?


Di fronte a così diverse opzioni teoriche, le scelte possibili sono ovviamente tutte aperte. Sembra ancora ragionevole sottoscrivere il discorso del teorico saussuriano, da integrare beninteso con tutto quello che oggi meglio sappiamo relativamente al ruolo svolto dai segni non solo nella prassi comunicativa, ma ancor più nella sfera cognitiva umana. Quella linea è stata chiarita da Prieto che condivide con Eco l’idea che la significazione sia alla base della comunicazione, ne riformula però il concetto spiegando che essa consiste nella relazione fra un indice e un indicato quando tale relazione non sia naturale, ma istituita da una società. Vi sarebbe quindi una semiotica della significazione, che ritaglierebbe il suo oggetto nel mondo degli indici convenzionali cioè comportamenti sociali. 
Barthes aveva accennato a ciò, parlando di semantizzazione del comportamento.
Prieto aggiunge che tale processo deve assumere un’effettiva stabilità sociale, sino a configurarsi come uno scarto di rispetto a una norma sottesa. Quando ciò accade, scattano dispositivi di connotazione. Il termine connotare indica quelle pratiche semiotiche che selezionano determinati segni in base al fatto che essi fungano da significanti di altri segni, che avranno per significato elementi aggiuntivi rispetto al puro valore denotativo, letterale e referenziale dei segni di partenza. 
La semiotica della comunicazione presuppone dunque quella della significazione, con i suoi annessi dispostivi di connotazione, ma limita il suo raggio agli indici convenzionali che siano segnali, ovvero a quegli indici che forniscono un’indicazione circa il rapporto sociale. A questa categoria fanno riferimento gli esempi di Saussure. 
Non vi è tuttavia una barriera tra i due tipi di semiotica perché il procedimento significazionale della connotazione si ripresenta all’interno di alcuni tipi particolari di linguaggi propriamente detti quali i linguaggi artistici. 
De Mauro ha offerto un’ipotesi di classificazione dei codici semiologici a partire dal principio della centralità del significato e lavorando sui diversi modi in cui i codici organizzano quest’ultimo nei loro vari modi di funzionare. Si delinea così una scala di crescente complessità che vede al vertice il linguaggio verbale, con la sua forse unica capacità di saldare la regolarità del codice con l’indeterminatezza della sfera sematica. 
La semiotica permette di conseguire risultati sul territorio che le compete dei codici o dei linguaggi.
Noam Chomsky ha sostenuto e tutt’ora sostiene la tesi neocartesiana della discontinuità: negando sostanzialmente agli animali diversi dall’uomo il possesso di un vero e proprio linguaggio.
Gli ultimi anni negli studi semiotici si é sentito lo spessore filosofico e filosofico linguistico.
Perde la centralità la distinzione tra semiotica della significazione e della comunicazione perché l’oggetto della semiotica si amplia incorporando problematiche percettive, cognitive, antropologiche relative al dominio del linguaggio naturale.

Tratto da ELEMENTI DI SEMIOTICA di Anna Carla Russo
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