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L’impresa innovativa


Visione neoclassica: L’impresa è un’attore economico che opera in un contesto caratterizzato da concorrenza perfetta, completezza informativa, l’impresa non ha margini per definire una propria strategia, riceve il prezzo e non ha possibilità di alterare la struttura di mercato e nemmeno alcun potere di modificare la tecnologia. È un entità ottimizzante.
L’imprenditore è come se non esistesse. Flusso circolare di Schumpeter.

Impresa ottimizzante o innovativa?

Nel solco di questo paradigma che ha caratterizzato il pensiero economico dalla fine dell’800 si sono create nuove teorie per intervenire nelle situazioni reali di mercato con l’intento di aumentare performance dell’impresa. Per esempio la struttura-condotta-performance (anni '50/'60)  secondo il quale la condotta e performance sono modellizzate in modo ancora fortemente vincolato.

Variabili Struttura:
• Tecnologia
• Economia di scala o di scopo
• N. Operatori
• Presenza barriere ingresso ed uscita
• Elasticità domanda rispetto al prezzo

All’impresa in questi vincoli è riconosciuta la possibilità di fare delle scelte strategiche che hanno a che fare con: (questa è la condotta)
• Politiche di prezzo (→ ipotesi oligopolio)
• Investimenti
• Collusione
• Acquisizioni
• Differenziazione di prodotto

Dalla condotta scaturiscono i risultati che si misurano con ROE, ROI, ROA → profitti, strutture di costo.
Non è un modello teorico vero e proprio perché tende ad essere basato più su osservazione dati empirici, rimane un paradigma con dei forti limiti anche di tipo predittivo: dato una certa struttura di mercato quali sono scelte impresa e risultati?
Questo approccio non è in gradi di dare una risposta soddisfacente.
Infatti presenta una rigidità e dei limiti:
• Assume come esogene tecnologia e struttura
• Esclude che condotta e performance modifichino la struttura
• Non tiene conto in modo adeguato della domanda
Infatti abbiamo delle modificazioni successive che endogenizzano la tecnologia, fanno perno sulla condotta e ammettono una modifica della struttura.

Ronald Coase, economista inglese di carattere neoclassico ma con prospettiva completamente nuova, premio Nobel nel 1991 è i primo a domandarsi perché le imprese esistono.
Scrive “The nature of the firm”. Gli hanno riconosciuto il nobel per questo contributo, mette in contrapposizione due momenti del sistema produttivo uno interno all’impresa ed uno coordinato dall’esterno: le variabili esterne coordinano i prezzi (quindi è il mercato a stabilirlo). All’interno delle imprese le transazioni di mercato sono eliminate perché vige il principio gerarchico ovvero l’autorità dell’imprenditore.

Fuori dall’impresa i movimenti dei prezzi dirigono la produzione, che è coordinata attraverso una serie di transazioni sul mercato. All’interno dell’impresa le transazioni di mercato sono eliminate e al posto di una complicata struttura di mercato e relative transazioni si sostituisce l’imprenditore coordinatore, che dirige la produzione.
Lui inoltre rigetta l’assunzione di informazione completa, operare sul mercato è costoso perché ci sono dei costi di coordinamento delle operazioni di mercato:
• Costi di coordinamento contrattuale → ricerca e negoziazione
• Costi di incompletezza → informazioni limitate disponibili sul mercato

Sostanzialmente:il funzionamento di un mercato costa e formando un’organizzazione consentendo l’autorità certi costi di operare sul mercato sono risparmiati.

L’impresa quindi rappresenta il modo per diminuire i costi di mercato.

All’interno di una impresa però la gestione del processo produttivo porta dei costi che a volte possono essere più grandi di quelli che si avrebbero sul mercato.
Al crescere integrazione verticale e diversificazione produttiva aumentano i costi di gestione e questo pone un freno a integrazione verticale: c’è un limite superiore oltre il quale l’impresa non rappresenta più una convenienza. Questo spiega perché non c’è una grande impresa ma un mix di imprese sul mercato.
Limite superiore: costo marginale che l’aggiunta di un nuovo processo produttivo porterebbe all’impresa se questo = al costo che imprenditore avrebbe tramite una transazione sul mercato allora la convenienza dell’impresa cessa.

Oliver Williamson, con la teoria dei costi di transazione.
Riparte dalle analisi di Coase e li sviluppa ulteriormente. Aggiunge la dimensione del monitoraggio, c’è bisogno di verificare se la controparte si attiene al contratto e questi sono costi aggiuntivi.
Alla incompletezza informativa aggiunge la razionalità limitata. Le capacità di calcolo e ponderazione degli individui sono limitate come le informazioni che questo può raccogliere. 
Quindi abbiamo asimmetria informativa e operatori quindi con volumi di informazioni differenti questo porta a comportamenti opportunisti: chi ha più info vuole sfruttare questo a suo vantaggio a discapito della sua controparte.
La sua analisi si incentra di più sui costi di coordinamento piuttosto che sui problemi dell’incompletezza perché la assume come data.

Lui analizza il momento in cui l’imprenditore deve scegliere se produrre in proprio o comprare: quanto più un bene è specifico tanto più conviene all’imprenditore internalizzarlo, questo perché il produttore di un bene altamente specifico possiede ampia informazione quindi può facendo comportamento opportunistico avere un maggiore ricavo di fronte all’acquirente.


Quanto più è standardizzato un bene si hanno bassi costi amministrativi ad acquistarlo sul mercato quindi lo si compra sul mercato.
Al crescere specializzazione i costi di mercato aumentano e non si ha più convenienza a comprarlo sul mercato quindi conviene produrlo in proprio anche se i costi di produzione interni nel momento iniziale sono alti (ipotesi conveniente al crescere specificità).


Variabile frequenza con la quale un impresa si serva di un certo bene:
• Se impresa ha un alto bisogno ripetuto di un bene specifico conviene internazionalizzazione
• Se è medio allora accordo di collaborazione
• Se l’utilizzo è basso allora conviene comunque acquistare sul mercato.

Questo modello ha comunque una serie di limiti:
• Assume il mercato come preesistente
• Adotta una cornice di ottimizzazione vincolata (tipicamente neoclassica)
• È chiusa in un orizzonte di comparazione statistica
• Problemi di misurazione della specificità degli asset
• Silenzio sulle dinamiche interne all’impresa
Williamson non considera il potenziale dell’impresa innovativa di ridisegnare la configurazione di mercato.

Edith Penrose, autrice di “Theory of the growth of the firm” offre un modello descrittivo dei processi di crescita aziendali aderente alla realtà.
È una versione embrionale della resource-based view.
Lei immagina che quando un impresa inizia una nuova attività senza per forza voler essere innovativi, tipo solo ampliare scala produzione, dovrà programmare e realizzare un ampliamento produttivo.
Questo coinvolge le persone che operano in impresa in una nuova attività che porta a nuove conoscenze: sviluppo di conoscenza.
Quando porta a termine il processo l’impresa si troverà arricchita di competenze immateriali, sapere come svolgere un ampliamento di produzione. Queste nuove conoscenze può utilizzarle o meno, non usarle sarebbe un costo quindi questo porta ad uno stimolo a continuare a crescere per non perdere sotto il profilo economico. Quindi questo è un processo che tende a continuare a ripetersi.

Dimensione cumulativa delle conoscenze.
Insiste anche sul tema della localizzazione dell’apprendimento: diverse imprese nello stesso settore faranno cose diverse in base all’insieme di risorse materiali e immateriali che hanno. Le conoscenze infatti non sono facilmente trasferibili.

DuPont, descrive l’emergere e l’evoluzione della grande impresa americana e si concentra sul binomio tecnologia-struttura, la tecnologia all’interno dell’impresa tende poi a modificarne la struttura.
Al centro dell’analisi ci sono le competenze organizzative e la relazione strategica della struttura dell’impresa. Nella sua visione le imprese definiscono le strategie che modificano la tecnologia che crea i nuovi mercati e ridefiniscono la struttura industriale.
Le imprese first-mover hanno un vantaggio competitivo durevole in talune circostanze.
Il vantaggio competitivo va concepito in una dimensione dinamica, come la capacità di affrontare situazioni nuove.

Lazonick, attinge alla prospettiva evolutiva di Nelson e Winter:
• Motore della crescita R&S
• Risorsa chiave sono le routine = conoscenza tacita accumulata nel tempo
• Traiettorie tecnologiche, innovazioni incrementali
L’attività innovativa non è legata ai singoli ma interazione tra soggetti.
La sua analisi si incardina su 3 elementi:
1. Le imprese attuano strategie: che tecnologie usare, che prodotti creare e su che mercato operare (cambiamenti nella base di competenze)
2. Si procacciano finanziamenti (risorse finanziarie)
3. Organizzano risorse per raggiungere i loro obiettivi (integrazione organizzativa per generare apprendimento collettivo e cumulativo).

Lazonick introduce la dimensione sociale ed è qui che si arricchisce e distingue la sua visione da quella degli altri economisti prima trattati.
L’impresa che ha in mente Lazonick:
• Resource based: Penrose
• Apprendimento collettivo, dimensione sociale
• Apprendimento cumulativo
• Dynamic capabilities : capacità di integrare, sviluppare, riconfigurare competenze interne ed esterne per adattarsi a contesti in rapido cambiamento.
• Influenzata dal contesto sociale


Tratto da ECONOMIA DELL'INNOVAZIONE di Mattia Fontana
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