Sociologia delle periferie
La
sociologia delle periferie consiste in un’analisi delle periferie dal
punto di vista sociologico, oggi si adotta un approccio macrosociologico
nel senso che ci si interessa maggiormente alle grandi interazioni e
quindi viene letta come la distribuzione delle forze e dei poteri in
particolare si cerca di capire cosa sia centro e periferia a livello
mondiale in quanto un approccio microsociologico si usava in passato che
si concentrava invece sui quartieri e quindi ad una scala minore.
Gli
studi sulle periferie intrapresi agli inizi della città industriale
sono spesso nato come indagini sulla povertà infatti nella seconda metà
dell’Ottocento sono state inchieste tese a descrive le condizioni di
vita degli strati più bassi della società soprattutto in Gran Bretagna
(Charles Both racconta di come viva l’altra meta nell’East-end nel suo
libro Vita e lavoro degli abitanti di Londra in cui evidenzia la
distribuzione delle zone più povere nel contesto urbano complessivo. Si
tratta quindi di un’indagine moderna sulla disuguaglianza e per la prima
si ha una relazione tra la residenza e la condizione sociale).
Il
metodo d’indagine di Both venne ripreso e arricchito negli anni Venti in
America dove nasce la scuola sociologica di Chicago che si occupa dello
studio della crescita dell’urbano esplorando le dinamiche con cui di
distribuiva la popolazione (Chicago è il risultato di una serie di fasce
concentriche, la prima fascia situata nel nucleo centrale era il luogo
in cui risiedevano i più ricchi ed era quindi il Central Business
District, la seconda era la zona di transito e ospitava i liberi
professionisti, la terza fascia ospitava le zone più povere, la quarta i
lavoratori del ceto medio e infine c’era la zona dei pendolari e dei
suburbs residenziali. Si viene a creare una competizione per
aggiudicarsi le zone più appetibili).
È interessante notare in questi casi la scelta della piccola dimensione, ovvero di universi circoscritti, per indagare dinamiche urbane più ampie.
Nei primi anni Sessanta si insiste sulle condizioni di vita nelle periferie e sulle ripercussioni che la monotonia delle periferie ha sugli abitanti sotto il profilo delle mentalità.
Le periferie oggi sono luoghi problematici in quanto sono i luoghi dell’esclusione e della marginalizzazione, in cui sono presenti degrado e segregazione sociale che diventano una sorta di contenitori di un’umanità inutile mentre dovrebbe essere il luogo da cui può ripartire un discorso più ampio sull’eguaglianza di diritti.
C’è l’esigenza di ripensare i rapporti tra grandi agglomerazioni metropolitane, economie e società e per farlo occorre ripercorre le tappe fondamentali.
Gli anni Settanta rappresentano una rottura rispetto il modello tradizionale di interpretare la città e il suo ruolo nell’economia, vengono a meno le teorie di Christaller e di Castells e si assiste alla trasformazione che getta le basi della globalizzazione attraverso i cambiamenti della struttura produttiva che si riflette in termini spaziali-territoriali.
Gli
anni Ottanta sono l’epoca delle tendenze legata alla delocalizzazione
produttiva e si afferma un’economia strutturata per reti e nodi, in
questi anni in Europa si parla di declino urbano mentre negli Stati
Uniti si intensifica il fenomeno dello sprawl.
• Città mondiali, ipotesi avanzata da John Friedman a metà degli anni Ottanta, e si riferisce ad una rete di città organizzate orizzontalmente e strettamente collegate tra loro in cui si concentra il potere di comando, diventa decisivo comprendere la relazione interurbana ovvero i rapporti tra le città e il loro ruolo nella divisione spaziale del lavoro.
Rappresentano i luoghi di accumulazione e di concentrazione del capitale internazionale e fungono da poli di attrazione in questo modo le città delle stelle in una costellazione che stava appena cominciano a profilarsi ovvero post nazionale.
Si viene a delineare anche una nuova classe sociale, ovvero la classe globale composta da specialisti iperqualificati e caratterizzata da un’alta mobilità internazionale.
Le città globali sono autonome rispetto al loro retroterra produttivo ma anche rispetto alla nazione in cui sorgono, un problema riguarda la periferia che si viene a creare ovvero tutto ciò che rimane fuori dalle reti che si vanno tessendo.
• Città globali, ipotesi sviluppata da Saskia Sassen poco dopo il concetto di città globali e viene messo in evidenza il fatto le reti planetarie fanno capo a nodi decisivi e che il controllo esercitato si realizza mediante la produzione di servizi, il motore che rende possibile la crescita metropolitana è il capitale intellettuale che non è prodotto soltanto dalla classe globale.
• Mega-città si tratta delle enormi agglomerazioni urbane terzomondiali, ovvero quelle città che non sono posizionate ai vertici della gerarchia planetaria.
Svolgono un ruolo ambiguo ovvero è in atto un processo globale per cui alcune mega-città sono vincolate all’economia globale ma sono luoghi in cui si hanno gli indici di povertà più elevata mentre altre mega-città appaiono perfettamente globalizzate ma rappresentano isole in un oceano di libertà.
Il XXI secolo è il secolo in cui la maggioranza della popolazione vive in grandi agglomerazioni urbane infatti la città continua ad apparire ai migranti come l’unica soluzione per scappare dalla povertà urbana ma i modelli di città che si stanno diffondendo si differenziano sempre di più con quelli del passato ne sono un esempio le mega-città terzomondiali che più che macchine produttive sono contenitori di povertà estrema e disoccupazione.
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Dettagli appunto:
- Autore: Francesca Zoia
- Università: Politecnico di Milano
- Facoltà: Architettura
- Corso: Progettazione Architettonica
- Esame: Sociologia della città
- Docente: Agostino Petrillo
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