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Esempi di processo: Galileo Galilei



Come comincia il caso: succede che il 13 dicembre del 1613 il granduca di Toscana, Cosimo II de Medici dà una grande cena, a cui partecipano una serie di intellettuali che consentono al granduca di discutere di astronomia (i medici sono molto interessati e mecenati di studi astronomici), un tema molto interessante alle corti, luoghi di cultura e dibattito con i personaggi più importanti. Quella sera a cena si parlò di astronomia, di Copernico: tra le persone presenti c'è un famoso matematico copernicano che si chiamava Benedetto Castelli, oltre che un filosofo e un sacerdote. Parlando del teorema di Copernico, Cristina di Lorena, una nobildonna presente, dice al sacerdote che questo tema non le sembra particolarmente chiaro: "il moto della terra aveva dell'incredibile e non poteva essere che la Sacra Scrittura era contraria", ciò significa che la Sacra Scrittura era contraria al moto della Terra, perché nel passo di un libro di Giosuè c'è scritto che: "il Sole si immobilizzò nel mezzo dei cieli e ritardò il tramonto di circa un giorno intero" (questo è il passo biblico): il Sole quindi si ferma, sta un giorno e mezzo fermo rispetto al suo solito giro che fa intorno alla Terra.
Le due teorie che si contrappongono sono quelle dell'eliocentrismo (il Sole al centro dell'Universo/sistema solare) e quella delle Sacre Scritture, secondo cui il Sole gira attorno alla Terra che sta ferma, teoria contraria a quella di Copernico.

Galileo non è presente alla cena, ma quando il suo amico Castelli gli scrive per raccontargli quello di cui si era discusso, Galilei scrive una lettera nella quale affronta un tema molto spinoso: quello del rapporto esistente tra la Sacra Scrittura e la ragione naturale. Galilei sostiene che la verità non sopporta contraddizioni: "tra natura e scrittura non ci deve essere contrasto ma ci deve essere sempre accordo. Il fine della Bibbia è di illustrare verità morali, non di mostrare fenomeni naturali". Dunque la Bibbia non può essere seguita in maniera letterale, ma si deve accordare con le dimostrazioni che fa la scienza. "Questo significa che nelle dispute naturali (discussioni che riguardano la natura), ella (la Bibbia) deve essere sempre riservata nell'ultimo ruolo". Tra Bibbia e Natura non ci devono essere contraddizioni, ma quando ci sono, vince la ragione sulla bibbia perché è messa in ultima istanza. Sta dunque dicendo una cosa di estrema gravità. Tutto ciò, Galilei lo scrive in una lettera indirizzata a Castelli, ma questa viene ricopiata e passata tra intellettuali finché arriva nelle mani di un domenicano fiorentino totalmente ostile al copernicanesimo. Questo denuncia Galileo per eresia, mandando la lettera al cardinale Bellarmino. Egli nel 1613, non essendo contento della fine del caso di Bruno e preoccupato del fatto che non poteva ripetere una cosa del genere con una persona dell'importanza, del calibro scientifico e della notorietà internazionali di Galilei (famoso in tutto il mondo scientifico), non è d'accordo con quello che legge ed esprime una posizione molto diplomatica secondo cui Galilei può pensare ciò che vuole, a condizione che dica, affermi che l'astronomia copernicana egli la analizzi e comprenda non come fatto reale, ma come ipotesi matematica. In questo modo, Galileo può dire quello che vuole sul tema copernicano purché dica che non è quella la verità, ma che sia solo una ipotesi. A questo punto, anche il Sant'Uffizio è d'accordo sul fatto che si possa parlare di queste cose non in termini assoluti, ma "ex supposizioni": in termini assoluti, la verità è un'altra. Per Bellarmino invece, la Bibbia deve essere considerata un testo vero in ogni sua parte. Ci sono dunque due posizioni contrapposte: la verità della Bibbia che va messa da parte finché non si parla di cose naturali; sula verità della Bibbia non si discute perché quello che è diverso da essa è ipotesi. Naturalmente il lavoro del Sant'Uffizio va avanti e, nonostante questa chiave di lettura, esso ritiene che le affermazioni di Galilei siano assurde in filosofia e formalmente eretiche, soprattutto erronee nella fede. A questo punto, il Sant'Uffizio chiama Galilei e nei decreta (decisione presa nella riunione) della riunione del 3 marzo 1616 il decreto in latino dice: "è stata ascoltata la relazione dell'illustrissimo signore cardinale Bellarmino, il quale ha riferito che il matematico Galileo Galilei ammonito per la santa congregazione del Santo Uffizio ad abbandonare la ragione da lui ritenuta - che il Sole stia immobile al centro del sistema delle sfere e la Terra si invece movi - si è sottomesso". Galilei dunque "acquievit", cioè fu acquiescente, si sottomise e quindi il Sant'Uffizio dichiara la sua teoria "una falsa dottrina del tutto contraria alla Sara e Divina Scrittura".

Per capire Galilei bisogna anche ragionare su un fatto: egli nega tutto ciò che pensa, che sa, capisce la verità? In realtà, Galilei nel 1610 aveva lasciato l'università di Padova dove era stato per molti anni e aveva deciso di tornare in Toscana: l'università di Venezia è molto aperta, liberale dal punto di vista delle dottrine, era un'università in cui si potevano esprimere delle idee anche in contraddizione con quelle dell'ortodossia ecclesiastica, sapendo che la repubblica ti proteggeva. Insegnare a Padova, come il suo amico Cesare Cremonini, era molto importante. Sceglie quindi di insegnare nella Toscana medicea perché Galileo è un figlio devoto della Chiesa, non un ribelle ateo.
Si conclude in questo momento la vicenda così, che però avrà un seguito inatteso. Nel frattempo il papa del periodo del primo processo è Paolo V; finito il processo sale sul trono Urbano VIII, un grande riformatore, colui che riforma la Chiesa e a cui Galilei va a presentarsi, conoscerlo a Roma nel 1624 (torna a Roma 6 volte a parlare con il papa), con lui c'è un dialogo molto intenso. Nel frattempo Castelli viene chiamato a insegnare alla sapienza di Roma e la città diventa un ambiente dove ha luogo un dibattito scientifico molto importante.
A questo punto Galilei aveva scritto un'opera, che sarà poi la causa dei suoi problemi: Dialogo sopra i massimi sistemi. Prima di pubblicare l'opera, ne aveva parlato a lungo con il papa e gli pareva di aver capito dell'interesse del papa nei confronti dell'astrologia copernicana. Anche qui l'ambiente attorno al papa suggerisce ad Urbano di dire a Galilei di tenere l'opera sempre come ipotesi matematica più adatta a fare calcoli astronomici piuttosto che come realtà (nuovamente la posizione assunta dal Tribunale). Galilei dunque si fida della Chiesa e dell'amicizia col papa. Chiede allora "l'imprimatur" al maestro del sacro palazzo, per poter stampare il libro e lo ottiene. Il maestro però detta quali sono le due condizioni a cui Galilei deve sottomettersi: la prima è di scrivere una prefazione al libro scritta dal maestro stesso mentre come seconda: il resto del libro doveva essere modificato da Galilei come gli era stato suggerito di fare (ipotesi utile a fare calcoli astronomici). Nel Dialogo ci sono due interlocutori, e uno di essi è il filosofo aristotelico chiamato Simplicio a cui Galilei mette in bocca le parole di Urbano VII (Simplicio come stupidotto, sempliciotto). Il papa però capisce dell'allusione perché si sente preso in giro. Il libro comunque uscì perché è dato subito alle stampe, nonostante l'ironia sul papa che sostiene la teoria aristotelica. Il mondo scientifico apprezzò, il mondo ecclesiastico assolutamente no tanto da censurarlo.

Dunque avviene negli anni '30 il secondo processo che si conclude nel 16 giugno 1633. quando Galilei viene giudicato veementemente sospetto di eresia, "cioè di aver creduto dottrina falsa e contraria alle Sacre e Divine Scritture, che il Sole cioè sia centro della Terra e che non si muova l'oriente a occidente e che la terra si muova e no sia centro del mondo e che si possa tenere probabile un'opinione dopo essere stata dichiarata indefinita e contraria alla Scrittura", condannato a pene secondo il tributo (ancora non definite). In ginocchio davanti ai giudici, Galilei recita l'abiura e viene trattato in maniera clemente perché gli vengono combinate solo pene spirituali. La storia di Galileo, nonostante i tentativi del tribunale stesso, diventa un monito a chiunque voglia pensare liberamente e al di fuori delle costrizioni che vengono poste dalla Chiesa, la quale si giustifica dietro le Sacre Scritture.  A questo punto, Galilei si ritirerà a Siena dove scrive altre opere finché diventerà cieco, mentre le sue opere verranno promosse e distribuite dappertutto, prima a Venezia e Firenze ma soprattutto all'estero. La tesi di Black è che il dibattito scientifico si sposta verso i paesi del nord Europa", non più l'Italia, ma in luoghi dove è consentita la libertà di idee e di pensiero. In particolare, il dibattito scientifico continuerà in maniera carsica e anche negli studi di alcuni ordini religiosi, in alcuni scienziati che appartengono agli ordini religiosi come i gesuiti, ma anche la medicina fa molte sperimentazioni formalmente impedite dalla Chiesa (sezionare i cadaveri, soprattutto dei giustiziati).
La censura è una delle caratteristiche più importanti dell'attività del Sant'Uffizio romano, oltre che la caratteristica della repressione del pensiero critico dei contemporanei da parte di chi impone un'ortodossia religiosa nel senso della pratica devozionale ma anche del modo di pensare corretto in varie discipline. Vi sono nel libro una serie di esempi di casi portati avanti dal tribunale. L'attività della censura non diminuisce, anzi al contrario aumenta nel '700, a differenza invece della stregoneria che già nel '600 declina. La censura è un problema che si ripropone prima nel momento della repressione delle idee protestanti in senso lato, eretiche secondo la chiesa, ma si riproporrà nel '600 come controllo sulle "nuove eresie" e si riproporrà ancora nel '700 come controllo delle idee che vengono chiamate variamente "libertine" o comunque un pensiero laico che comincia ad affacciarsi. C'è una non diffusa ma significativa presenza di opinioni anti-clericali che si manifestano nel '700, c'è una ripresa della satira cinquecentesca contro l'immoralità dei religiosi secolari e regolari, c'è una sempre più consapevole richiesta di libertà individuale e una iniziale consapevolezza della necessità di separare potere temporale e potere spirituale, tipica dell'800 (papa era sia capo della chiesa sia capo dello stato pontificio, nelle sue mani racchiude potere del re e potere dei vescovi, tutte le sue attribuzioni fanno capo a questa sua doppia caratteristica). C'è poi una necessaria attività di censura che si indirizza verso la filosofia e verso la scienza, ma continua pure l'attività contro i romanzi, contro gli scrittori e filosofi inglesi e francesi (quelli più famosi sono i philosophes come gli enciclopedisti) che racchiudono nuova idea del mondo, della scienza, della religione intesa come naturale. L'enciclopedia entra a far parte dei libri proibiti, è condannata per il reato più drammatico che si possa fare, quello della libertà di pensiero.

Nell'enciclopedie (dizionario enciclopedico) si trovano una serie di voci scritte dai filosofi illuministi dell'epoca. Una di esse, scritta dal filosofo materialista Paul D'Holbach, parla dei "sacerdoti": nella sua operazione sottile, parla dei sacerdoti come se fosse uno storico delle religioni, non un critico della chiesa; ne parla in generale ma dietro le cose che scrive, si può intravedere un forte anticlericalismo, dato che dietro quello che attribuisce ad esempio a sacerdoti egiziani, ci sono esattamente gli stessi difetti di cui accusa la chiesa cattolica. "si designa con questo nome tutti coloro che svolgono le funzioni di culto religioso presso i vari popoli della terra. Il culto esteriore presuppone cerimonie il cui scopo è colpire i sensi degli uomini e ispirare loro venerazione per la divinità a cui rendono omaggio". Sono quindi i sacerdoti che instillano nei devoti un atteggiamento di soggezione, li manipolano in qualche modo. "La superstizione, avendo continuità con le cerimonie nei vari culti, le persone a cui viene affidato il compito di celebrarle, non tardarono a formare un ordine a sé". Dunque, la superstizione nasce perché tutte le persone che si occupavano dei vari culti decisero di mettersi a parte nella società, "un ordine a sé destinato unicamente al servizio degli altari, chiusi nei recinti dei loro templi, avevano pochi rapporti con il resto del popolo e ciò dovette accrescere ulteriormente il rispetto nei loro confronti, ci si abituò a considerarli favoriti degli dei, depositari degli interpreti delle loro volontà, mediatori tra divinità e il mortale". I sacerdoti sono quelli che dicono (e vengono creduti) di avere un rapporto privilegiato con gli dei, e per questo tipo di rapporto si mettono a parte e si arrogano il monopolio della gestione di questo rapporto. La casta dei sacerdoti è del tutto improduttiva socialmente, perché non guadagna e non partecipa all'attività lavorativa come gli altri, perché la loro attività lavorativa consiste nell'instaurare questo rapporto privilegiato con Dio o il santo. I sacerdoti spogliano i fedeli del governo della relazione con il divino; sono i sacerdoti che intercettano l'attività individuale di rapportarsi con il sacro; hanno dipinto gli dei come vendicativi, hanno creato la necessità di vendicarsi sulla vita delle stesse persone che gli credono. Parlando di miracoli, si tratta di gente colta che conosce la fisica e i fenomeni naturali, di contro ad una moltitudine che non la conosce, finge tutta una serie di presunti miracoli proprio basandosi sull'ignoranza della gente sui fenomeni fisici. Il clero viene criticato perché vuole imporre la sua supremazia sul rapporto tra sudditi e re: il papa viene prima del proprio re, a cui invece, secondo D'Holbach, il popolo è legato da legami naturali, legati alla patria e alla terra.

Furono censurate non solo le enciclopedie, ma anche tutte le opere dell'illuminismo perché esso possedeva il concetto di "religione naturale", quella in base alla quale tutti gli uomini sono uguali. Sulla base di questa morale, gli illuministi si pronunciano contro la schiavitù, la tratta degli uomini, che è un "barbaro commercio" che fa avanti fino all'800. Essere contro la schiavitù dei neri, in base al principio dell'uguaglianza naturale tra gli uomini, implicava una serie di conseguenze in vari piani, almeno due: 1. se tutti gli uomini sono uguali, devono essere giudicati in modo uguale, mentre la giustizia di antico regime è cetuale ancora nel '700; 2. se la legge è uguale per tutti, non si può intervenire sui corpi delle persone, dunque essi sono contro la tortura (il libro di Beccaria è all'indice). È un pensiero che produce effetti di riforma istituzionale, giuridica e sociale a catena. Altro esempio di uguaglianza naturale: dato che tutti gli uomini sono uguali, lo sono anche le donne e dunque, all'interno del filone illuminista si trovano per la prima volta alcune prese di posizione per l'uguaglianza delle donne nel senso della concessione dello spazio pubblico, ovvero anche le donne possono godere di diritti civili (il diritto civile per antonomasia durante la rivoluzione francese è quello del diritto di voto). Sono quindi tutte idee sovversive. La Chiesa non aveva nulla contro la schiavitù, anzi la giustificava sul piano delle sacre scritture facendola risalire alla maledizione di Noè contro un suo figlio, basandola su uno scritto che la radica e le fornisce delle radici scritturali, dandogli molta importanza. I conventi, i sacerdoti, anche il papa possiede schiavi ed essi lavorano come rematori sulle galere pontificie, costruiscono le mura della città del Vaticano e, se ci sono schiavi con particolare pregio, vengono regalati al papa come dono particolarmente esotico (esempio di diplomatico marocchino regalato al papa, il quale lo battezza come Leone l'africano, che lascerà nei primi del '500 la prima descrizione europea dell'Africa, dato che aveva viaggiato tanto). Dato che rubare una proprietà ecclesiastica era un reato particolarmente pesante, gli schiavi della chiesa non vengono rubati e vengono puniti pesantemente in caso di fuga.
La chiesa è quindi favorevole alla schiavitù, a una condizione di disuguaglianza tra donne e uomini, possiamo ben capire la distanza culturale con tutte le teorie, soprattutto quella che chiedeva di rinunciare al potere temporale da parte del papa: tutti i libri con questo tema vengono messi all'indice.

Tratto da STORIA DELL’INQUISIZIONE ROMANA di Federica Palmigiano
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