Il training conversazionale
Il training conversazionale produce un miglioramento in queste competenze rispetto al gruppo di controllo?
Partecipanti: 90 bambini con sviluppo tipico (esclusi i ritardi), con età media di 30 mesi (perché questa età e non una età inferiore? -> perché serviva una minima competenza linguistica e una capacità di mantenere concentrazione e attenzione sull’attività proposta). I bambini frequentavano 7 nidi della provincia di Milano. Le educatrici erano 37, delle quali 18 hanno effettuato le attività con il gruppo sperimentale (erano formate adeguatamente per il training conversazionale), le altre no (le quali però alla fine della ricerca furono comunque formate nel training).
Il disegno di ricerca è un classico disegno sperimentale con pre test, post test e training (gruppo di controllo senza training). Le attività di training sono state condotte dalle educatrici -> questa è una novità rispetto alle ricerche classiche, dato che tradizionalmente gli psicologi quando fanno una ricerca, per assicurarsi il massimo livello di controllo e il minimo livello di variabilità, sono loro che si occupano direttamente di gestire il training -> quest comunque ha creato una grande variabilità (dato che ogni educatrice aveva la sua sogettività). Perché quindi è stata fatta questa scelta? Perché a livello formativo le educatrici imparano facendo e si appropriano del metodo, inoltre le educatrici hanno una relazione privilegiata e unica con i bambini (cosa che non ha lo sperimentatore esterno). Una volta che le educatrici si saranno appropriate del metodo di comunicazione affettiva, lo potranno usare non solo durante il training, ma anche in molti altri contesti.
Strumenti usati:
- Misure compilate dai genitori: PVB (primo vocabolario del bambino i genitori devono segnare i termini che sono presenti o no nel vocabolario del bambino -> il numero totale dei termini usati da un’idea delle competenze linguistiche generali del bambino), QLP (questionario lessico psicologico -> è mirato sui termini di lessico psicologico), QuEm (questionario a scelta multipla sull’empatia)
- Misure dirette sui bambini: desire-emotion-task (compito che si basa su storielle illustrate in cui si verifica la capacità del bambino di associare un desiderio del bambino a un’emozione -> esempio: Pierino vuole un gelato alla crema ma c’è solo al cioccolato, qual è l’emozione di Pierino? -> può essere considerata anche una prova di teoria della mente di base), puppet interview (è un’intervista che si fa ai bambini usando delle marionette strutturata in modo simile al desire -> con le marionette vengono imitate delle emozioni e il bambino deve attribuire l’emozione corretta. Questa prova permette di capire l’abilita dei bambini di riconoscere le emozioni, denominarla e attribuire delle cause), osservazioni di comportamenti prosociale (aiuto, consolazione, condivisione) e dell’uso del lessico psicologico (sono videoregistrazioni di 15 minuti di ogni bambino mentre giocava, poi il video è stato riguardato per codificare quei due parametri, quindi si cinta il numero di comportamenti prosociale e il numero di termini psicologici usati -> in generale entrambi sono a bassa emissione in bambini di questa età).
- Alle educatrici è stato chiesto di compilare un diario semi-strutturato, in cui dovevano riportare episodi significativi, dai quali potessero emergere comportamenti prosociale o termini psicologici (in modo che non ci si dovesse affidare solo sulle videoregistrazioni).
Le misure parent report sono state somministrate sia prima sia dopo il training, sia nel gruppo sperimentale sia in quello di controllo. Il training consisteva proprio in una conversazione sulle emozioni -> gli autori hanno realizzato ad hoc delle storielle ipotizzate come facilitanti la conversazione sulle emozioni. Nel gruppo di controllo le educatrici leggevano le storie e poi i bambini andavano a giocare, mentre nel gruppo sperimentale alla storia seguiva la discussione -> l’ipotesi è che non sia la sola lettura delle storie a promuovere comprensione emotiva e comportamenti prosociale, ma piuttosto la conversazione sulle emozioni.
Le storie: sono 8, due per ogni emozione di base (rabbia, paura, felicità e tristezza). Sono molto brevi (perché altrimenti non vi sarebbe stato il tempo per conversare). Ciro e Beba sono due fratelli coniglietti (sono stati scelti animaletti, perché se fossero stati scelti dei bambini sarebbe stati connotati, con colore di occhi capelli e pelle, e ciò avrebbe veicolato l’identificazione dei bambini -> se il bambino vede il personaggio della storia come un bambino molto diverso da sé avrebbe fatto fatica a immedesimarsi). Nelle storie c’è una situazione iniziale (il contesto), poi si verifica una situazione scatenante che determina la reazione emotiva dei coniglietti, poi vi è sempre una tavola in cui l’esperienza emotiva viene descritta in modo approfondito (sia attivazione fisiologica, sia comportamento, sia componente soggettiva), e infine vi è il lieto fine (in cui si descrive il cambiamento emotivo rispetto alla situazione precedente). È importante il fato che le storie sono molto brevi perché così i bambini ne possono avere una comprensione complessiva e possono così costruirsi una rappresentazione della storia -> il primo passaggio per poter conversare è far sì che i bambini si approprino (familiarizzino) della storia, solo poi si potrà parlare di emozioni.
Il setting: l’attività si svolge nello spazio della sala che è dedicato alla lettura (in ogni nido è presente un angolo con una libreria, dei libri, un tappetino in cui potersi sedere). L’educatrice siede di fronte ai bambini e legge le storie mostrando le immagini -> vengono usate delle schede (e non li ricini) per lasciare alle educatrici la scelta del modo in cui utilizzarle, inoltre i bambini potevano manipolare le schede, infine le scritte erano dietro e le immagini davanti (così da poter leggere agevolmente il testo mentre i bambini guardano le immagini -> ognuno può leggere la storia nel suo modo). Le schede sono numerate, così che poi possono essere tutte in fila e i bambini possono vederle tutte insieme. Questa attività veniva svolta ogni giorno per circa 2 mesi.
Come veniva fatta la conversazione? Alcune domande tipo potevano essere: cosa è successo oggi a Ciro e Beba? (Serve per testare il richiamo alla storia appena letta). Come sono oggi C e B (testa identificazione e denominazione dell’emozione target)? Come mai sono così (serve per testare la comprensione delle cause)? E voi, di cosa avete paura?
Si parte sempre dall’aggancio alla storia e dal riconoscimento dell’emozione target, poi la sequenza corretta è quella di partire dall’espressione (si parte da questa perché è la parte osservabile dell’emozione -> è la dimensione più materiale dell’emozione -> chiedendo di concentrarsi sull’espressione il bambino può affinare le sue capacità visive di riconoscimento dell’emozione), passare alla comprensione (perché Ciro e Beba hanno paura?), al trasferimento sull’esperienza del bambino (anche se spesso i bambini lo fanno spontaneamente e lo anticipano -> i bambini dicono: anche io ho spesso paura con il buio!) e infine alla regolazione (cosa si fa in presenza della paura? Se i bambini non sono in grado di rispondere, l’educatrice dovrebbe provare a dare lei una risposta). -> alle educatrici veniva fatto passare questo insegnamento nel training: non si devono esplorare prima tutti gli aspetti dell’emozione, ma prima di tutto ci si deve contrare sul riconoscimento e l’esplorazione dell’espressione -> il principio di fondo è la gradualità, seguendo delle tappe. Era importante che le educatrici interiorizzassero il senso di questo training e di ciascuna fase, in modo che poi ognuna potesse gestirselo in modo personale, arrivando comunque allo stesso risultato (dato che le leve toccate erano comunque le stesse).
Conversare sulle emozioni significa proprio avere bene in mente quali sono le dimensioni emotive da esplorare con i bambini e sapere bene quali parole usare.
Formazione: 10 incontri a scadenza di 15-20 giorni, in cui è stato dato tutto un background teorico (ad esempio il primo incontro si concentrava sulla definirne di emozione) + vedi slide
Risultati: l’intevento ha mostrato efficacia su tutte le variabili prese in oggetto (abilità linguistiche con attenzione su lessico psicologico, abilità di comprensione emotiva e comportamenti prosociali/empatia).
Dal punto di vista dell’efficacia, quindi, l’intervento conversazionale si mostra capace di promuovere queste abilità.
Si era detto che parallelamente alle registrazioni, le educatrici compilavano dei diari, per accedere alla vita quotidiana del nido, in modo da verificare che qualche cambiamento si verificasse durante il training. Le educatrici dovevano segnare gli episodi in cui usavano un lessico psicologico e quelli in cui mostravano comportamento prosociale (aiuto, conforto, condivisione). Vedi episodi su slide. Le educatrici hanno raccontato come avessero riscontrato quasi immediatamente all’inizio del training un cambiamento -> hanno visto fiorire l’uso del lessico psicologico e la messa in atto di comportamenti prosociale. Questo è sicuramente effetto del training (che familiarizza i bambini con le emozioni), però vi è anche un altro aspetto: le educatrici probabilmente hanno cominciato a vedere i bambini con un occhio diverso -> non è detto che prima i bambini non mettessero in atto cert comportamenti, ma più probabilmente erano le educatrici a non coglierle -> mano a mano le educatrici si sono rese più sensibili nei confronti delle emozioni -> non solo sono cambiati i bambini, ma sono cambiate anche le educatrici, ed è questo il cambiamento più proficuo che è stato ottenuto nella ricerca, dato che poi le educatrici anche alla fine del training hanno continuato a promuovere l’espressione delle emozioni nei bambini.
Quali sono le condizioni affinché si possano generare queste trasformazioni? Vi sono dei passaggi da seguire rigorosamente -> per realizzare ricerche che includono il coinvolgimento dei bambini (incluse videoregistrazioni) è necessario avere il consenso dei genitori dei bambini e delle educatrici stesse. Il primo passo è contattare i servizi presso cui svolgere la ricerca (in questo caso gli asili nidi). Una volta che è stato concordato l’interesse alla partecipazione, si organizza un incontro di persona con i vertici del servizio (che può essere una cooperativa, ma anche il comune). Poi vengono spiegate le procedure, il progetto, i tempi ecc, e a quel punto si può programmare l’incontro con le educatrici, e a loro viene spiegato ancora tutto chiarendo molto bene le motivazioni della ricerca (le educatrici dovevano essere coinvolte affinché la ricerca potesse andare a buon fine -> in questa ricerca veniva proprio offerta una formazione Gratuita, però in generale dovrebbe essere sempre previsto un ritorno per i partecipanti, sia educatrici sia genitori, perché altrimenti la ricerca è sterile e non serve a nulla). Poi si organizzano incontri con i genitori, e anche a loro vengono dette le stesse cose con l’obiettivo di sensibilizzarli. Dopo aver ottenuto tutti i consensi si può cominciare la ricerca.
Discussione: vedi slide. L’altro elementi distintivo della ricerca era che la discussione veniva svolta con gruppi di bambini (che venivano coinvolti attivamente nella discussione), mentre in famiglia di solito ci sono uno o due bambini.
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Dettagli appunto:
- Autore: Mariasole Genovesi
- Università: Università degli Studi di Milano - Bicocca
- Facoltà: Psicologia
- Corso: Psicologia dello sviluppo e dei processi educativi
- Esame: Pedagogia Interculturale e della Cooperazione
- Docente: Alessia Agliati
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