Modello di continuità
Saarni ha realizzato un modello di continuità, nell’ambito della socializzazione emotiva (quindi apprendimento di competenze emotive) -> la modalità di socializzazione indiretta è il modelling (in cui i bambini osservano gli adulti, che non hanno intenzione di insegnare qualcosa) come ad esempio il riferimento sociale, l’imitazione, l’identificazione con l’altro (cioè assumere il ruolo dell’adulto) / la seconda modalità è la contingency, cioè quando l’adulto interviene in modo contingente nell’apprendimento del bambino fornendogli informazioni su come deve comportarsi e come codificare la situazione (anche qui non vi è una intenzionalità esplicita dell’adulto di insegnare al bambino, ma dato che interviene attivamente è un pochino più consapevole rispetto al modelling -> per questo è un metodo intermedio tra diretto e indiretto) -> esempi: minimizzazione, svalutazione, disapprovazione (non va bene piangere, non ti devi arrabbiare ecc) oppure incoraggiamento, supporto dell’espressione emotiva (riconosco la tua emozione e me ne faccio carico) / la terza modalità, di tipo diretto, è il coaching, in cui l’adulto ha l’intenzione di trasmettere un insegnamento al bambino, (ad esempio quando la mamma spiega esplicitamente come cucinare la pasta -> affinchè vi possa essere coaching è necessario che l’adulto ritenga importante e di valore trasmettere un certo insegnamento), che possono essere insegnamenti anche sulle condotte emotive -> come fa a trasmettere insegnamenti sulle condotte emotive? Attraverso discussioni e conversazioni sulle esperienze emotive, più o meno strutturate.
Quando si tratta di trasmettere insegnamenti sulle competenze emotive gli adulti non sono sempre preparati a farlo -> l’insegnamento diretto deve passare attraverso la parola (se passa attraverso il comportamento si rientra nelle altre due modalità), e non tutti gli adulti sono capaci di parlare delle proprie competenze emotive e di saperle trasmettere -> questo perché pochi adulti sanno cosa sono le competenze socioemotive. Inoltre le competenze socioemotive sono diverse nelle diverse culture, quindi anche le pratiche di trasmissione sono molto diverse nelle diverse culture.
Video bambini giapponesi (4-6 anni): la prima reazione di fronte a un video di questo genere è la sorpresa, ci si chiede come fanno bambini così piccoli ad essere così indipendenti. Però si deve tenere presente che i bambini di oggi sono il frutto di ciò che sono oggi i genitori. Comunque tutti potenzialmente potremmo apprendere quel tipo di competenze (possano cambiare tempi e modalità di apprendimento, però il fatto che tutti i bambini possono appendere queste competenze è un dato di fatto) -> ciò che fa sì che lì i bambini siano così indipendenti e qui no sono le condizioni, prima di tutto la cultura -> nelle società occidentale prevale l’individualismo, con alti tassi di criminalità, quindi l’altro viene visto come minaccia, non ci si fida (di conseguenza i genitori non si fidano a mandare i bambini in giro da soli) -> la paura del mondo esterno è una prima condizione che frena i genitori a far uscire i bambini da soli. I bambini per poter sviluppare una sicurezza in se stessi devono apprendere che il mondo esterno non è solo fonte di minacce, ma anche di opportunità.
In Giappone, invece, prevale il valore dell’interdipendenza (prevale il senso dell’armonia collettiva -> è il valore più importante), quindi vi è una grandissima fiducia nel mondo esterno e negli altri, anche se sono sconosciuti -> i bambini sono un bene condiviso, quindi è dovere di tutto prendersene cura -> la mamma non lascia i bambini da soli, ma li lascia alla cura degli altri.
Questa è la prima condizione che rende la mamma sicura nel lasciare andare i bambini (anche se vede il bambino piangere, lo fa andare comunque). Una seconda condizione è la fiducia nel bambino stesso da parte dell’adulto. Nelle società occidentali siamo portati a iperproteggere i nostri bambini perché pensiamo che non abbiano le competenze sufficienti per poter affrontare determinate situazioni -> questo modo di pensare trasmette al bambino di essere piccolo e quindi di non essere ancora in grado di fare certe cose, e ciò gli trasmette un senso di incompetenza. Invece nel video la madre è tranquilla e ha fiducia nel suo bambino, e in questo modo gli infonde sicurezza. Inoltre la madre gli permette di avere la possibilità di sperimentare, mettersi alla prova con compiti sfidanti (nel video andare a fare la spesa), e nel caso di successo il bambino ha una grande restituzione in autostima (non ha nemmeno bisogno di un adulto che gli dica che è stato bravo, perché si sente lui gratificato e appagato).
Come sono arrivati questi a bambini ad acquisire tutte queste competenze? Sicuramente andando a fare la spesa con la mamma, quindi attraverso modelling (i bambini hanno osservato la mamma) e contingency (la mamma ha un atteggiamento incoraggiante). Però ci sarà stato anche quale insegnamento esplicito da parte della mamma, quindi apprendimento tramite coaching, che permette di accelerare l’apprendimento.
Le due macrocategorie che permettono di distinguere gli stili di socializzazione emotiva dei genitori sono (gottmann):
- Coaching: stile attraverso cui l’adulto riconosce le emozioni del bambino, le verbalizza, incoraggia il bambino a esprimerle -> l’adulto dà spazio alle emozioni nella dimensione educativa, riconoscendole importanti per il benessere del bambino
- Dismissing: l’adulto non riconosce le emozioni del bambino, dato che pensa che il bambino piccolo debba essere protetto dalle emozioni
Tra questi due stili esistono tantissime sfumature
Video di litigio fra due bambini nell'asilo nido:
I bambini hanno sperimentato una vera e propria situazione di conflitto in cui entrambi avevano una posizione fondata. L’educatrice in realtà non è intervenuta perché si era distratta e non riusciva a capire chi avesse ragione, questo perché nella nostra cultura nel conflitto vi è sempre la dimensione della giustizia, quindi c’è sempre qualcuno che ha torto e qualcuno che ha ragione. Per questo motivo nella nostra cultura il conflitto è visto come negativo e come qualcosa da evitare, proprio perché non è giusto che uno subisca e l’altro domini. A livello ideale nella nostra cultura si vorrebbe mantenere l’armonia e il quieto vivere.
La pedagogia ultimamente sta ribaltando la visione del conflitto, e cerca di accentuare le dimensioni educative e pedagogiche del conflitto (quindi il valore di sperimentare il conflitto). Nel conflitto avviene che due posizioni si scontrino e che ognuno sostenga la sua posizione -> essere in grado di sostenere la propria posizione ha a che fare con autostima, sicurezza, mantenimento di coerenza, è quindi un bell’esercizio di assertività e di affermazione di sé. Il conflitto perde la sua capacità pedagogica nel momento in cui uno vince sempre e l’altro perde sempre, perché così si sviluppa l’idea in uno di essere sempre perdente (quindi smetterà di entrare in conflitto dato che non ha mai la meglio, cosa che sfocia in insicurezza e perdita di conflitto) e nell’altro di essere sempre vincente. Se invece gli esiti del conflitto sono ben alternati il conflitto può insegnare qualcosa e permette a volte di sperimentare la sconfitta e a volte la vittoria.
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Dettagli appunto:
- Autore: Mariasole Genovesi
- Università: Università degli Studi di Milano - Bicocca
- Facoltà: Psicologia
- Corso: Psicologia dello sviluppo e dei processi educativi
- Esame: Pedagogia Interculturale e della Cooperazione
- Docente: Alessia Agliati
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