APPROFONDIMENTI
Doping, Sport, Società
Annosa è la questione del doping nel mondo dello sport, triste e scoraggiante è il suo impiego ormai pressochè sistematico. L’osservatore attento e scrupoloso ha l’obbligo di chiedere perché accade tutto ciò, quale il nesso, il fine sotteso; purtroppo, credo che il tutto vada cercato nella corsa affannosa di assolutizzare la meta, di porre il successo al di là e al di sopra di ogni limite sia morale sia giuridico. E’ il trionfo della cupidigia, della bramosia, dell’avere oltre l’essere, della normalizzazione di ciò che altro non è se non la negazione della propria persona. Ormai da anni, e sempre più, viviamo in una società dell’immagine,dove ciò che conta è l’apparire, la forma, la baldanza, non vi è più contenuto, il concetto di sacrificio è svuotato di ogni valenza, tutto è possibile subito, senza tempi, senza misura, senza umanità. La vittoria ora rappresenta la massima esaltazione di sé, della propria forza fisica e bruta sull’altro, chi perde è subito dichiarato fallito, la partecipazione è un modo di bruciare le tappe, priva di una spontaneità sportiva. Vincere ad ogni costo e a qualunque prezzo, questo è diventato la nuova regola aurea. Con questa brama forsennata, anche i giuochi più semplici del campetto di periferia divengono subito una accesa competizione, oltre ogni logica agonistica, oltre ogni rispetto umano, prima che sportivo. I giovani ragazzi che iniziano sono gettati nella mischia sull’onda di questa esaltazione affaristica, ogni mezzo è lecito, ma , poi , ben presto si contano le vittime sconosciute o illustri, ricche o soltanto aspiranti tali, ed ,alla fine, in mezzo a tutto ciò, il nulla. Noi continueremo ad appassionarci alle gare, di qualunque disciplina siano, ci azzufferemo sugli spalti, ci divideremo fino a disconoscere i nostri padri, per poi, compiti, assumere i toni da moralisti al primo caso di doping sospetto o, peggio, di morte legata ad episodi sinistri di illegalità sportiva. Del resto, se vogliamo fare un paragone veloce e anche non troppo dettagliato nella nostra vita quotidiana riscontriamo chiaramente le origini, le cause, le violenze di questo fenomeno. Senza addentrarsi in tematiche sociologiche complesse ed articolate, mi soffermo soltanto sulla freddezza, sul doppiogiochismo, sulla tracotante indifferenza che ormai troppo spesso regolano le relazioni sociali e i rapporti tra le persone. Senza educazione non c’è rispetto, senza condivisione non c’è reciprocità, senza valori non c’è coscienza. Già nei rapporti personali tra individui tutto si gioca sull’immediatezza, sulla precarietà, sull’istante assunto a metro-misura di paragone, altro non vi è , la ricerca dell’introspezione, della ponderazione, della coscienza-critica è declassata a pratica subalterna, superata, paranoica. In modo particolare, nell’ultimo decennio questa nostra società così fortemente basata sull’immagine, preferisce ciò che si riesce a mostrare e non gli aspetti sostanziali, come l’articolarsi di un sistema di pensiero, unico strumento davvero efficace per misurare il grado di capacità reale di una persona o di un insieme di individui. Il ricorso bramoso al doping è consequenziale a questo aspetto, i passaggi intermedi non vengono accettati, perché considerati troppo lunghi, laboriosi, faticanti, dinanzi a scorciatoie più facili ed accattivanti ma dagli effetti devastanti oltre che da un punto di vista fisico anche esistenziali, poiché conducono a pratiche di alienazione. Quest’ultimo aspetto porta alla distruzione sistematica della propria personalità, si diviene altri da sé, estranei a se stessi, perdendo anche i minimi punti di riferimento personali per relazionarsi correttamente con la società. La vera pratica di crescita, nello sport come nella vita, è basata sull’impegno, sulla concentrazione, sullo sforzo, sul sacrifico, tutti aspetti che costano tempo, fatica, rinunce, è un percorso lungo, la cui principale difficoltà risiede nella necessità di un pratica costante, continuata, dove viene allenata e perfezionata non solo la parte tecnica della disciplina sportiva ma soprattutto quella mentale, della consapevolezza di sé, delle proprie capacità naturali e anche, in modo più attento, dei propri limiti. A tal proposito, si impara di più da una sconfitta che da una vittoria, poiché in un risultato negativo si deve accettare che vi siano altri più bravi, più capaci, questo produce rispetto e stima nei confronti di chi ha prevalso, nel riconoscerlo consente la nascita di una sana sportività, inducendo ad un riflessione critica ed al tempo stesso costruttiva delle proprie mancanze, nella perseveranza salda dell’allenamento preciso ed puntuale per potersi rifare alla prossima occasione. Ecco, quindi, gli elementi fondamentali, oggi, purtroppo, spesso latitanti, riassumibili nella pervicace costanza dell’impegno, e, a riguardo gli esempi non mancano, anzi. Uno su tutti, significativo di queste stagioni sportive, è la vittoria a ripetizione della Scuderia Ferrari nel Campionato di Formula Uno; infatti, la casa di Maranello, famosa in tutto il mondo per le sue vetture e da strada e da competizione, ricca di successi per decenni, è stata per ben 21 anni, dal 1979 al 2000, senza vincere nulla, rimediando figure a volte ridicole ed ingloriose. Eppure, nonostante la pesante frustrazione e l’onta di sconfitte pesanti, è sempre prevalsa la volontà dell’impegno, della perseveranza, del rifiutare facili scorciatoie pur di tornare in vetta. Tutto l’impegno profuso ha portato oggi alle affermazioni straordinarie che tutti conosciamo, le quali, è importante capirlo, sono il frutto di un grande lavoro umano, lo sforzo di un gruppo di tecnici e di piloti che contro molte situazioni avverse, contro la tentazione latente di mollare tutto, hanno saputo ritrovarsi, affermando la creatività della migliore tecnologia italiana. Per l’esempio portato è proprio il caso di rifarsi al motto latino “ante lucrum, nomen”, che dovrebbe essere valido per qualsiasi ambito, e sportivo e personale. Questo sta a significare che dinanzi alla prospettiva del guadagno facile, della vittoria comprata o aggiustata, deve sempre prevale il prestigio e l’orgoglio della propria dignità, della propria correttezza, integrità, ossia del proprio nome che va costruito nella fatica, nella silenziosa pervicacia della dedizione e del sacrificio, specie se c’è da recuperare una situazione difficile, come si è visto con l’esempio della Ferrari.
Tuttavia, è bene tenere presente la difficoltà della situazione generale e il torbido intreccio tra doping, sport e società così come si è visto all’inizio. E’ sicuramente un quadro a tinte fosche. Ma allo stesso tempo si è evidenziato che una terza via è possibile, vi sono soluzioni affinché non si debba ricorrere, come invece accade in un numero ancora incredibilmente troppo elevato di casi, alla antica sentenza latina, di natura opposta a quella citata in precedenza, “ sic transit gloria mundi”.
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