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APPROFONDIMENTI

Ricorso al Mediatore europeo e concorso con altri mezzi di controllo: scenari

23/09/2005

Ricorso al Mediatore europeo e concorso con altri mezzi di controllo: scenari

Quella del ricorso al M.E. e del concorso con gli altri mezzi di controllo rappresenta, senza dubbio, una tematica di grande interesse perché consente di comprendere a pieno le peculiarità e le funzioni dell’istituto del M.E. attraverso il confronto con gli altri meccanismi di tutela non strettamente giurisdizionale di cui dispone il cittadino europeo.
Per essere correttamente inteso, infatti, il ricorso al M.E. - che, ai sensi dell’art. 195 TCE, è abilitato a ricevere denunce provenienti da persone fisiche o giuridiche che risiedano o abbiano la sede sociale in uno degli Stati membri e che riguardino casi di cattiva amministrazione nell’azione di istituzioni ed organi comunitari – va annoverato nell’ambito di un più ampio ventaglio di azioni concrete suscettibili di essere esperite in tempi brevi.
In questa prospettiva si collocano:
a) la possibilità per il cittadino di proporre reclamo all’esecutivo comunitario, al fine di attivare la procedura di infrazione contro lo Stato membro che violi il diritto comunitario;
b) la possibilità di sollecitare il Parlamento, affinché rivolga una interrogazione al Consiglio o alla Commissione;
c) la possibilità, prevista dall’art 194 TCE, di rivolgere una petizione al Parlamento.
Con riguardo a quest’ultima possibilità, invero, si deve rilevare una parziale sovrapposizione di competenze, in quanto, dalla lettera dell’art. 194 TCE, si desume che l’oggetto della petizione può essere una qualunque materia rientrante nel campo d’azione della Comunità e, dunque, anche i casi di cattiva amministrazione sui quali, forse, potrebbe essere più efficacemente attirata l’attenzione del M.E.
Proprio tale sovrapposizione ha indotto certa dottrina a sostenere la tesi della superfluità del ruolo del Mediatore; si ritiene, dal canto nostro, di dover avversare con forza questa tesi perché vi è più di una argomentazione sfavorevole ad essa.
Anzitutto, come più volte ribadito dal Mediatore in carica (prof. Nikiforos Diamandouros) la sinergia tra Mediatore e Commissione per le petizioni è assolutamente necessaria al fine di garantire una più completa ed efficace tutela dei diritti del cittadino. Così, per esempio, il M.E., a differenza della Commissione per le petizioni, non agisce soltanto in base alle denunce presentategli da chi è legittimato, ma anche sulla base di indagini di sua iniziativa che va ad avviare ogni qual volta lo ritenga giustificato; al contrario, la Commissione ben può occuparsi di questioni già portate dinanzi ad una istanza giudiziaria, mentre il M.E. non può trattare le denunce riguardanti fatti che costituiscano o abbiano costituito oggetto di una procedura giudiziaria.
Così inquadrata la complementarietà tra i due istituti, è ben possibile che il Parlamento europeo trasmetta, per competenza, al M.E. l’oggetto di una petizione, ovvero che il M.E. trasmetta al Parlamento europeo - e, quindi, alla Commissione per le petizioni – una denuncia che riguardi l’ambito della petizione o comunque l’ambito generale delle competenze parlamentari.
In definitiva, dunque, la combinazione dei due istituti giova all’interesse del cittadino perché gli offre un sistema di tutela dei suoi diritti più efficace e più completo.
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Al di là, poi, della complementarietà – nei termini in cui la si è finora inquadrata – è necessario sottolineare che il M.E. svolge anche un ruolo specifico ed esclusivo nel panorama istituzionale comunitario, non rappresentando soltanto quell’utile garanzia per i diritti del cittadino, ma fungendo anche da stimolo per l’amministrazione nei cui confronti ha già in passato svolto, e svolge tuttora, una opportuna funzione pedagogica volta a migliorarne l’efficienza.
Si fa riferimento, in particolare, alla attività cosiddetta di “soft law” - o di “diritto mite” secondo le parole di Zagrebelsky - e, dunque, al ruolo che egli può svolgere nel garantire un più facile accesso alla giustizia nei confronti di istituzioni ed organi comunitari, in ragione del carattere informale e, quindi, complessivamente meno oneroso della procedura.
In una accezione molto generale, l’espressione “soft law” delinea l’insieme dei meccanismi di autoregolamentazione diversi dai tradizionali strumenti normativi e che si caratterizzano principalmente per il fatto di essere privi di una efficacia vincolante diretta.
L’attività del M. è intrinsecamente soft perché le sue decisioni non hanno mai una efficacia vincolante, e, appunto, attraverso questa attività il M.E. può spingersi, ed in alcuni casi si è spinto, significativamente oltre la semplice risoluzione del singolo caso concreto: è chiaro, infatti, che una osservazione critica o un progetto di raccomandazione, formulato sì sulla base di un ricorso individuale, concernente, però, problematiche di carattere generale, se recepito dalla istituzione o dall’organo comunitario cui è rivolto può determinare il cambiamento di vecchie regole e procedure obsolete, così creando soddisfazione da un caso singolo per tanti cittadini.
Ciò è tanto più vero se si considera che il ricorso al M.E. è strutturato secondo lo schema dell’actio popularis, non essendo necessario, ai fini della ricevibilità della denuncia, che alla stessa sia sotteso un interesse diretto ed individuale del denunciante; in altre parole, può rivolgersi al M.E. anche chi non sia stato personalmente vittima del caso di cattiva amministrazione segnalato.
Altro vantaggio della attività di “soft law” risiede senz’altro nella elasticità del suo approccio che consente una migliore identificazione delle problematiche di carattere generale, oltre cioè quello che è lo stretto confine della mera illegalità.
Chiaramente, trattandosi di decisioni che giammai producono effetti esecutori, bisogna individuare il fattore d’impatto cui il M. è maggiormente ricorso per conseguire l’obiettivo della generale osservanza delle sue statuizioni; al riguardo può dirsi che il M.E. ha operato nel senso di una generalizzazione dei principi di “soft law”; s’intende dire che nel momento in cui una istituzione o un organo, riconoscendo la fondatezza delle argomentazioni del M, acconsente a modificare la propria condotta, non v’è ragione per non fare altrettanto, ogni qual volta si ripresenti una situazione similare; in caso contrario, occorrerà, comunque, che l’istituzione o l’organo giustifichi in maniera convincente la differente condotta tenuta nel caso specifico.
Va da sé che questa strategia ha sortito i migliori risultati quando la sì è andata ad applicare nei settori e nelle aree più rilevanti del mandato del M.E.; tra tutte, quella della tutela dello Stato di diritto e quella del pubblico accesso ai documenti comunitari (per le quali si rinvia alla consultazione integrale della tesi); per completezza di analisi, tuttavia, va detto che le iniziative del M.E. hanno riguardato tantissimi altri settori e si è trattato di iniziative tutte tendenti a conseguire un generale miglioramento del servizio offerto da istituzioni ed organi comunitari.
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Molto, dunque, è stato fatto, ma molto resta ancora da fare perché il M.E. possa essere avvertito effettivamente dal cittadino come l’amico cui rivolgersi con fiducia per qualunque caso di cattiva amministrazione; le statistiche, infatti, dipingono l’immagine di una istituzione ancora in fase di rodaggio e della cui funzione molti cittadini non hanno ancora coscienza.
Si tratta di affrontare, a ormai dieci anni dalla istituzione del M.E., la spinosa questione del rafforzamento del suo peso istituzionale; una delle strade per conseguire questo obiettivo, è, a nostro avviso, quella di riconoscere al M.E. poteri quasi-giurisdizionali di risoluzione delle denunce secondo lo schema di mediazione ed arbitrato, precisando, però, che per mediazione deve intendersi una attività imparziale e non orientata, così come accade oggi, per definizione al supporto di una delle parti (il denunciante) perchè ove si predisponesse una tale forma di mediazione ed ove le parti la accettassero su sollecitazione del M., tutto lascia pensare che la successiva proposta del M. sarebbe il più delle volte positivamente accolta ed anzi, si ritiene che un tale schema di mediazione andrebbe istituzionalizzato a livello preventivo, offrendo cioè alle parti la possibilità di ricorrervi ancor prima che nasca un conflitto; a differenza della conciliazione, infatti, la mediazione non è limitata alle sole ipotesi conflittuali.
Così facendo si otterrebbe da un alto una ulteriore concreta possibilità di tutela per i diritti del cittadino e, dall’altro, ne conseguirebbe uno sgravio nel lavoro delle corti e un decremento della presentazione di ricorsi alle stesse.
Per ciò che concerne l’arbitrato vale sostanzialmente la stessa linea argomentativa con la non trascurabile differenza che il lodo arbitrale è a priori vincolante e dunque, ove si riconoscesse un tale potere al M. parallelamente a quello di mediazione, evidentemente si offrirebbe anche alle parti la possibilità di decidere e di scegliere tra le due alternative.


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