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APPROFONDIMENTI

Ascoltare il figlio adolescente

13/06/2005

Ascoltare il figlio adolescente

“La signora Antonella venne a parlarmi di sua figlia Vivì di 14 anni, perché non riusciva più a “comprenderla”, la trovava nervosa, irritabile e poco disponibile al colloquio, sempre sul “sentiero di guerra”, pronta a “polemizzare ed attaccare”.
Dopo qualche incontro, chiesi alla madre di poter incontrare sua figlia. Vivì, ai primi incontri manifestava chiusura netta e diffidenza. Ascoltando le sue lunghe pause di silenzio, riuscii a far breccia ed a comprendere che la sua difficoltà maggiore era quella di non riuscire a parlare di sé ( “anche perché nessuno era disposta ad ascoltarla!”).
Seconda di due figli, era l’unica rimasta a casa con i genitori.
La madre aveva una sola preoccupazione: il suo rendimento scolastico.
Il padre, tra impegni ed interessi vari, risultava essere distante, se non addirittura assente, e non voleva “scocciature”, le sue risposte, ai tanti interrogativi di Vivì, si limitavano a “si”, “va bene..”, “forse”. Una situazione che acuiva il senso di solitudine nella ragazza ed inaspriva i rapporti, gli atteggiamenti di collera e chiusura verso se stessa e tutti. Tanto è che, la giovane usciva di rado ed altrettanto poco si incontrava con i coetanei anche perché, a suo dire, riteneva che non avesse nulla di dire e da raccontare.
Ma, il problema di fondo era la difficoltà ad esprimere con il linguaggio le sue emozioni, paure, sentimenti, per comprendersi e per essere capita. Ed ogni volta che incontrava e si “scontrava” con la contrarietà, con il non ascolto, con la non considerazione ed accettazione si chiudeva in se stessa o urlava per dar sfogo a uno stato d’animo da interpretare come richiesta d’aiuto.
Dopo diversi incontri, iniziò insieme a me ad analizzare i suoi vari comportamenti, l’ambiente familiare e le relazioni che desiderava intessere con gli altri. Rimaneva, il suo cruccio maggiore, il fatto di non essere compresa dai genitori e di non riuscire a farsi capire, ma si tranquillizzava quando appieno comprendeva che il suo “sentiero di guerra”, il suo “polemizzare ed attaccare” erano reazioni, atteggiamenti legati all’età della ricerca di una identità, dello sviluppo di una personalità, del distacco e non certamente di eventi a carattere patologici……”

Diversi i genitori incontrati e da continuare ad incontrare.
In tanti evidenziano il trovare strano e non comprensibile alcuni comportamenti del figlio: la scuola lo ha annoiato, non ha voglia di studiare, non parla, è continuamente nervoso, desidera solo uscire oppure rimanere chiuso nella sua stanza con gli occhi rivolti al soffitto, frequenta amicizie e coetanei che a noi (sottolineo “a noi”) non vanno giù,ecc.

Altri, non sono pochi, con scarse o sommarie conoscenze su quanto lo sviluppo adolescenziale coincida con il momento di mutazioni profonde di molteplici aspetti (fisici, psicologici, cognitivi, ecc.), non riconoscendo più dal punto di vista affettivo il loro “ eterno bambino”, diventano ansiosi nel pensare che questi cambiamenti possano essere il segnale di qualche patologia ed, il più delle volte, trasmettono tale stato ansioso ai propri figli che, inevitabilmente, alimenta in loro il dubbio di una anormalità che li porta, spesso, a chiudersi in sé e, di tanto in tanto, ad esplodere e manifestare la propria rabbia verso tutti e tutto.

In ogni caso l’adolescente ha un grande bisogno di essere ascoltato, considerato ed accettato. I giovani sono gli “esperti del proprio vissuto” e devono essere al centro dello svolgimento del dialogo. Un dialogo nel quale i genitori devono poter aiutare il proprio figlio a riflettere sui molteplici aspetti delle situazioni, a saper valutare i significati dei suoi comportamenti, ad assumersi responsabilità. Una relazione educativa dialogante che faccia emergere un’accettazione della persona cosi come è, che permetta di immergersi nel mondo interiore e soggettivo del giovane,che faccia comprendere appieno che si è lì, a loro vicini, senza passività ed eccessivo interventismo, per ascoltare e ristabilire una comunicazione interrotta.

Ma, se continuiamo a ritenerci gli unici esperti nel comprendere e dare questa o quella soluzione, se deviamo discorsi che ci annoiano o disturbano, se vogliamo imporre il nostro pensiero, proibire ed esortare; se vogliamo,attraverso un monologo, rivelare tutto il nostro egocentrismo, il nostro essere al centro dei pensieri, delle emozioni, sentimenti dell’altro senza mai pensare a metterci dal punto di vista dei figli; se alimentiamo una sterilità dialogica che denota scarso interesse per il giovane, che non favorisce l’indispensabile presa di coscienza dell’adolescente di cosa sta succedendo, di essere responsabile del proprio dire e fare e di quelle convinzioni, giuste o sbagliate, utili ad iniziare un cammino di crescita; se continuiamo a giudicare, a classificare in categorie dei “bravi” e “cattivi” ragazzi a seconda del comportamento, senza soffermarci per un momento sulla completa accettazione del personale mondo interiore dell’adolescente che sicuramente produrrebbe fiducia, distacco da quelle difese e timori che bloccano la comunicazione; se pensiamo che la relazione educativa non si configura come Io-Tu, dove il Tu soggetto, figlio, persona deve significare che “Tu esisti”, “Tu sei importante”, “Tu sei Tu”, allora il tutto diventerà “una cosa difficile da concepire” da parte di chi “non ha mai ascoltato, parlato ed agito partendo da uno schema di riferimento diverso dal suo” (C.Rogers, G.Kinget, 1970).
Alla prossima.


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