APPROFONDIMENTI
Il rapporto tra Chiese e Stati nell’Occidente contemporaneo: modalità ed interpretazioni di un confronto
Il mondo contemporaneo, nato dalla cultura illuminista e dai fondamenti posti dalla Rivoluzione Francese, tra le caratteristiche principali che ne segnano l’evoluzione presenta la complicata questione dei rapporti tra Stato e Chiese. La distinzione tra “trono” ed “altare”, evocata nell’immagine dantesca dei «due soli» (D. Alighieri, Divina Commedia, Purgatorio, XVI, vv. 106 - 114) e sul ruolo che i valori etici e morali rivestono all’interno della vita pubblica occupa ancora oggi i dibattiti nelle aule parlamentari e sulle pagine dei giornali, come dimostrano le innumerevoli discussioni sorte e sviluppatesi negli ultimi anni sulla scena politica italiana sul rapporto con la Chiesa Cattolica, con accuse reciproche da una parte di voler tacitare la missione pastorale e dall’altra di ingerenza clericale nella legislazione inerente materie etiche e sociali.
Diversi sono i modelli che si sono affermati negli ultimi due secoli nella giurisprudenza e nei provvedimenti legislativi messi in campo a livello internazionale, adeguati alle singole situazioni storiche.
Partiamo dal noto e peculiare modello statunitense, frutto di un processo di costruzione multietnico (melting pot): gli USA, anche per evitare il riconoscimento di qualsivoglia Religione di Stato a scapito della libertà confessionale, sono dalla loro fondazione basati sulla dichiarata separazione tra le due istituzioni. A tale separazione non corrisponde parimenti una distinzione tra religione e politica, quest’ultima segnata in maniera cruciale dalle radici culturali protestanti (M. Weber, L’etica del calvinismo): la religione, in quanto componente fondamentale dell’identità americana fin dalle origini, ha, infatti, a torto o a ragione, sempre rappresentato un fattore onnipresente nella politica americana; basti pensare che nell’aula del Congresso è scritto a caratteri cubitali: «In God we trust».
Al contrario degli Stati Uniti, nel Vecchio Continente il processo di separazione tra i poteri, spesso di natura conflittuale, è avvenuto con tutta evidenza molto più lentamente, sviluppandosi in condizioni assai differenti tra di loro.
Alle laicissime Francia ed Olanda che, per legge, vietano qualsivoglia codificazione normativa dei rapporti tra Stato e Chiesa, fanno da contraltare casi come quelli italiano, tedesco e spagnolo, in cui si è assistito alla riproposizione dell’istituto concordatario, stipulato dalla Chiesa in precisi e drammatici momenti storici per evitare la privazione della propria libertà di missione pastorale, questo anche in seguito alla codificazione organica messa in atto con la promulgazione del Codex Iuris Canonici del 1917. Da qui nasce anche la critica attuale al Concordato che, seppur emendato delle sue parti più anacronistiche (vedi i quattro accordi spagnoli del gennaio 1979 e la Revisione craxiana del 1984), regola ancora i rapporti tra Stato e Chiesa nei contesti nazionali suddetti, delegando ad altre forme (vedi le Intese in Italia, previste dall’art. 8 del Costituzione) il rapporto con le restanti confessioni religiose.
Un terzo esempio di rapporto tra Stato e Chiesa è quello nel quale vi è una compenetrazione tra potere politico e religioso e la permanenza del carattere statuale della religione, che tocca il suo vertice nel Regno Unito, dove il monarca è anche capo della Chiesa anglicana: è questo il caso, in ambito cattolico, di alcune piccole realtà territoriali (Andorra, Liechtenstein, Malta, Monaco), dove il sovrano è ancora tale «per grazia di Dio» prima ancora che «per volontà della Nazione»; in ambito protestante, delle monarchie luterane del nord del Continente (Danimarca, Norvegia, Svezia), in cui, fra gli altri compiti, la Chiesa detiene ancor oggi l’amministrazione dello Stato Civile; in ambito ortodosso, il caso greco, dove la Costituzione risulta promulgata «in nome della Santa, consustanziale e indivisibile Trinità».
Vi sono infine da evidenziare casi intermedi, come il Belgio, la cui Costituzione del 1999 sancisce la laicità dello Stato, ma riconosce alle sei religioni principali (cattolica, protestante, ebraica, anglicana, musulmana e ortodossa) il mantenimento dei ministri del culto e le spese per l’istruzione religiosa e l’Irlanda, influenzata largamente dalla presenza del Cattolicesimo, ma che nel 1972 ha abolito i principi ispiratori della Carta del 1937 «fondata nel nome della Santissima trinità da cui ogni autorità deriva», e il riconoscimento statale della «situazione particolare della Santa Chiesa cattolica, apostolica e romana in quanto guardiana della fede professata dalla grande maggioranza dei cittadini».
Le diverse modalità di rapporto intrattenute tra Stato e Chiesa nel mondo contemporaneo e le forme di inclusione od esclusione messe in atto da un’istituzione nei confronti dell’altra, risultano ad ogni buon conto fondamentali al fine di giungere ad una comprensione più completa di una questione cruciale per la società odierna, anche alla luce dei movimenti migratori e della conseguente formazione di società multietniche in atto.
In conclusione, citando il deputato cattolico all’Assemblea Costituente Stefano Jacini (1886 - 1952), si può senza dubbio affermare che «Non vi è mai stata, non vi è, presumibilmente non vi sarà mai, la possibilità di separazione assoluta fra i due poteri, in un paese dell’Occidente europeo e in Italia in modo speciale. Non vi è mai stata e non vi sarà perché l’europeo non è divisibile. La Chiesa si può combattere; la Chiesa si può perseguitare; con la Chiesa si può patteggiare; ma la Chiesa non si può ignorare; e questo è un dato di fatto che diciannove secoli di storia confermano».