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APPROFONDIMENTI

La Fiat e la condotta antisindacale nel “caso Melfi”

06/06/2011

La Fiat e la condotta antisindacale nel “caso Melfi”

Quanto accaduto presso lo stabilimento Sata di Melfi nel luglio 2010, ossia il licenziamento (giudicato antisindacale con una sentenza del Giudice del Lavoro ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori) di tre operai militanti Fiom, colpevoli di aver interrotto deliberatamente la catena di produzione durante uno sciopero, rappresenta un casus belli nelle moderne relazioni industriali della casa automoblistica torinese.

In effetti l’episodio è culminato in virtù di un clima esasperato, che ha minato la già difficile armonia della Fiat all’interno del mondo sindacale e, come facilmente intuibile, ha avuto un considerevole eco mediatico, coinvolgendo rapidamente istituzioni, dottrina e gente comune, a testimonianza del delicato fil rouge intercorrente tra gli aspetti economici, commerciali e finanziari di quella che è considerata la più importante fabbrica italiana.

Malgrado la sentenza, Marchionne ha interdetto l’accesso ai processo produttivo ai tre lavoratori, limitandoli a svolgere attività meramente sindacale: in tal senso appare opportuno chiedersi se tale posizione così ostruzionistica e aggressiva (e illegale ex art.650 Codice Procedura Penale per inottemperenza del provvedimento dato dall’Autorità Giudiziaria) è finalizzato esclusivamente a colpire la Fiom, organizzazione sindacale protagonista di una serrata discussione nei recenti accordi riguardanti gli stabilimenti di Pomigliano d’Arco e Mirafiori.

La vicenda deve ancora conoscere il suo termine, in quanto la Fiat ha presentato ricorso contro il reintegro degli operai, ma rappresenta uno scenario di confusione e scarsa coesione sociale: a nostro avviso il Lingotto, anziché promuovere una deleteria guerriglia sindacale endemica, dovrebbe ricercare di sviluppare le proprie strategie industriali, nel rispetto di una contrattazione sana e costruttiva con le parti sociali.

La grana dei tre operai non deve perciò finire per oscurare quella che è la vera questione, ossia indicare il concreto ruolo strategico dello stabilimento di Melfi all’interno del piano industriale stilato da Marchionne.


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