APPROFONDIMENTI
La contemplazione del cielo: una possibile dimensione e rinascita del sabato cosmico come riscoperta della laicità nel suo senso assiologico
Il presente contributo nasce dalla consapevolezza di vivere in un'epoca di crescente secolarizzazione, dove, in nome dello sviluppo tecnologico e del consumismo, i valori religiosi hanno subito un notevole degrado. Per valori religiosi intendo tutti quei valori che esprimono nell'uomo il senso della meraviglia, dello stupore, e della gioia. Tutti questi sentimenti appaiono estranei all'uomo di oggi, invischiato com'è nella rete dei business quotidiani. L'uomo odierno cerca di eludere il senso assiolico della realtà, perché cerca in questa precipuamente il valore del proprio tornaconto personale, non disgiunto da quello economico. A partire da tale quadro urge ridare alle cose il vero senso estetico; senso che deriva da un rapporto trascendente che l'uomo deve dare alle cose, in quanto queste non sono esclusivamente sotto il suo dominio, ma ci parlano di una realtà che oltrepassa la loro pura materialità. Nel dare il giusto valore assiologico alla realtà, è opportuno che l'uomo -e questo è anche il tema centrale della XXX domenica del tempo ordinario- “non può che far parte di quel coro apparentemente silenzioso, ma impetuoso e travolgente, che s'innalza verso il cielo da tutto il creato per rendere gloria al Signore”.1
In fondo, riprendendo le parole del Sal 19,2, “parlare della “gloria di Dio”, è parlare del suo irradiarsi nel mondo, della sua manifestazione al di fuori del mondo divino e, infine, della sua presenza o della sua dimora nel mondo: “i cieli narrano la gloria di Dio (...) (Sal 19,2)”.2
Proprio nell'intento di ridare all'uomo il perduto valore assiologico alla realtà, valore che è alla base anche della sua vocazione alla laicità, riteniamo opportuno rileggere questa perla preziosa dell'antichità cristiana: l'A Diogneto. In A Diogneto X,2 leggiamo che “Dio infatti amò gli uomini: per essi fece il mondo, a essi sottomise tutto quanto è sulla terra, a essi dette ragione e intelligenza, solo a essi permise di alzare lo sguardo verso il cielo (ouranon)”.3
Il motivo del sollevare lo sguardo verso il cielo è stato studiato dal Pellegrino, per il quale il motivo centrale del quinto komma in A Diogneto 10,2 più che la conformazione del corpo a guardare il cielo, inteso da lui come volta fisica, è la contemplazione di Dio (auton).4 Per il testo di A Diogneto 10,2, che è l'oggetto di questo nostro lavoro, è da segnalare, come riporta Otto,5 la congettura di Lachmann: egli corresse auton del codice, riferito a Dio, con ouranon. La congettura è stata accolta dal Marrou. Pertanto l'anonimo autore ci fa intuire che l'uomo è nato per contemplare Dio; la facoltà della contemplazione è insita nella natura dell'uomo, e quindi l'uomo non può togliere questa sua naturale tendenza a contemplare Dio. Pure nel contesto prossimo di A Diogneto 10,7 l'anonimo autore afferma che il cristiano contempla il cielo perché in esso dimora Dio: "Allora, pur trovandoti sulla terra, vedrai che Dio governa nei cieli (en ouranoi)".6 L'autore dell'A Diogneto insiste sulla capacità visiva dell'uomo, mediante la quale l'uomo si rapporta alle realtà superne. L'uomo, per l'anonimo autore, nel mentre solleva il suo sguardo verso le stelle e il cielo, entra in sintonia con una realtà che trascende il suo stesso essere, la sua semplice finitezza e materialità, proiettandosi in un mondo infinito che non ha confini, segno ancora leggermente tangibile della grandezza di Dio. Questo slancio dell'uomo verso l'infinito è mediata, secondo l'interpolazione di Lachmann, dal termine ourano, che, inteso come volta fisica, permette all'uomo di rapportarsi al divino. La bellezza del creato e della volta celeste, l'uomo le contempla con lo sguardo visivo, mediante il quale egli coglie il senso estetico, il valore dell'armonia, della perfezione e della bellezza del creato. Questi valori suscitano nell'uomo il senso dello stupore e della meraviglia di fronte a ciò che è icona della verità eterna, alla quale l'uomo si immerge e ne coglie la sua effettiva presenza nella degustazione di tutte quelle cose reali che fomentano in lui l'apertura reale a Dio.
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Note:
1. N. MASTROSERIO, Attenzione quando predichiamo nel dare gloria a Dio. A beneficiarne è esclusivamente l'uomo, in “Temi di predicazione. Omelie” 63 (2002), p. 138.
2. J.P. PRÉVOST, Piccolo dizionario dei salmi, Ed. Borla 1991, p. 25.
3. H.I. MARROU, A Diognète, Paris 1965, p. 76.
4. M. PELLEGRINO, Il “topos” dello “status rectus” nel contesto filosofico e biblico (a proposito di Ad Diognetum 10,1-2), in Mullus. Festschrift Th. Klauser, Münster 1964, 276.
5. J.C.Th. Von OTTO, Iustini philosophi et martyris Opera quae feruntur omnia, II: Opera Iustini addubitata, p. 199 n. 6.
6. Ed. crit. F.X. FUNK-K. BIHLMEYER-M. WHITTAKER, Die Apostolischen Väter. Griechisch-deutsche Parallelausgabe, Tübingen 1992, p. 320. Trad. di E. NORELLI, A Diogneto, Milano 1991, p. 117.