APPROFONDIMENTI
Perseverare diabolicus est
In una scena di Full Metal Jacket un colonnello dei marines redarguiva il soldato Joker sulla natura della missione americana in Vietnam. “Noi siamo qui per aiutare i vietnamiti perché dentro ogni muso giallo c’è uno che sogna di diventare americano. E’ un mondo spietato figliolo. Bisogna tener duro fino a quando passerà questa mania per la pace” [1].
Questa sembra essere anche la visione della storia e della cultura professata da George W. Bush e dal neoconservatorismo americano da Theodore Roosevelt e Woodrow Wilson, passando per Ronald Reagan.
L’ideologia. Di fatto l’ideologia neocon travalica lo Statuto delle Nazioni Unite firmato il 26 Giugno 1945 a San Francisco. È un trattato e quindi, secondo le normative di diritto internazionale, è vincolante per tutti gli Stati che lo hanno ratificato.
Lo Statuto all’art. 1 dichiara che l’obiettivo primario dell’ONU è il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Per perseguire tali fini l'Organizzazione è fondata sul principio della sovrana uguaglianza di tutti i suoi Membri. Inoltre i membri devono risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici e cosa ancora più importante, le Nazioni Unite non sono autorizzate ad intervenire in questioni che appartengano essenzialmente alla competenza interna di uno Stato.
L’ideologia neocon, al contrario si fonda su una profonda avversione al multilateralismo e guarda con sospetto al ricorso di mezzi pacifici per risolvere le controversie internazionali. L’atteggiamento neoconservatore americano è fortemente occidentalista. Claes Ryn accusa addirittura i neocon di rappresentare una varietà di neo-giacobinismo poiché essi sono attaccati a principi sopranazionali e anti-storici che dovrebbero soppiantare le particolari tradizioni di ogni società […] i neocon vedono se stessi come coloro che stanno dalla parte del giusto, del bene, che combattono il male.
Il neoconservatorismo vuole difendere la nazione americana da ogni minaccia esterna, in modo diretto e privilegiando l’azione netta e decisa. Inoltre non ha remore nell’utilizzare strumenti di prevenzione a tal fine [2]. I neocon avversano l’arrendevolezza europea nei confronti dell’ascesa di Hitler e le concessioni della Conferenza di Monaco del 1938. Essi propugnano una pax americana in cui gli Stati Uniti si ergano a Stato-Gendarme al di fuori del diritto internazionale poiché essa rappresenta l’unica nazione ad aver raggiunto la Verità, la Democrazia e l’Uguaglianza. Tutto sommato questi sono discorsi non molto diversi da quelli del Mein Kampf di hitleriana memoria. Allora, per dirla alla Slavoj Zizek: Chi impiccherà George W. Bush?, visto che, alla pari di Saddam è intenzionato a rovesciare il governo di Teheran [3].
È curioso annotare le accuse parallele di nazismo da parte dei neo-con nei confronti dell’Islam e di questa nei confronti di George W. Bush. E d’altronde la retorica neo-con è piena di affermazioni e allusioni tetramente ariane e vagamente razziste, distinguendo ad esempio tra “vite americane” da tutelare e “vite altrui” che si possono sacrificare per il benessere della “nazione eletta”.
Sia l’ideologia islamica sia quella americana si reggono su vecchie teorie rimaneggiate a proprio uso e consumo. L’Islam interpreta il Corano e infonde alle masse un forte risentimento grazie ad una facile retorica anti-imperialistica. I neoconservatori americani attualmente al potere si credono la “nazione eletta” prima schierata contro il nazi-fascismo, poi contro il comunismo ed ora contro l’islamofascismo. Ma c’è di più. I neocon sono rimasti alla visione dell’ordine mondiale del 1939. Prima dell’ONU, prima dello sviluppo economico e politico europeo, prima dell’ascesa dei paesi BRIC. Prima dell’impianto di Israele in Medio-Oriente. Insomma, si è rimasti su una concezione incentrata sulla realpolitik e sulla convinzione che gli Stati Uniti debbano portare “il fardello dell’uomo bianco”. I neocon si rifanno alla teoria della Rivoluzione permanente di Lev Trosky. Il concetto di rivoluzione permanente è basato sulla sua valutazione che nei Paesi arretrati il compimento della rivoluzione democratico-borghese non possa essere realizzato dalla borghesia stessa ma che dovesse essere guidata dal proletariato, che non solo avrebbe dovuto compiere la rivoluzione democratico-borghese, ma avrebbe dovuto proseguire direttamente alla rivoluzione socialista. In questo senso la rivoluzione sarebbe stata permanente o ininterrotta. I neo-con vorrebbero esportare democrazia e libertà allo stesso modo. Attraverso una guerra permanente ed ininterrotta, presentandosi come avanguardia democratica su stati meno “fortunati” [4].
La psicologia.
Secondo Ezio Bonsignore, Bush sarebbe affetto da quella che i Tedeschi chiamano “Führerbunkersyndrome” [5], la sindrome del bunker del Führer. Essa si manifesta quando”un capo politico-militare isolato nel suo centro di comando perde progressivamente il contatto con la realtà e si rifiuta di riconoscere che una guerra di aggressione, che egli stesso ha scatenato senza alcuna reale necessità, è ormai persa malamente ed è persa soprattutto a causa delle sue stesse decisioni. Il capo rigetta quindi questa realtà che non gli piace e si rifugia sempre più in un suo mondo irreale, continuando a formulare strategie sempre più campate in aria e a emettere ordini sempre più insensati, ma che secondo lui dovrebbero inevitabilmente portare all'immancabile vittoria finale” .
La teoria dei sistemi.
La nuova offensiva verso Mogadiscio è davvero un elemento nuovo nella strategia politica americana? I politologi erano certi di questo imminente intervento, e ci si aspetta anche un attacco su Siria ed Iran. Una legge dell’entropia applicata alla comunicazione ci informa che : quanto più un segno è improbabile, tanto più il comparire di questo segno ha carattere informativo.
Per cui la vera novità è nel gesto, nel non detto. L’Amministrazione Bush vuole rigettare in toto i risultati della commissione congiunta Baker-Hamilton e intraprendere un’azione retorica persuasiva nei confronti dell’opinione pubblica americana, facilmente suggestionabile, e le opinioni pubbliche medio-orientali in modo da far rovesciare quei regimi. C’è di nuovo che le recenti nazionalizzazioni delle compagnie petrolifere venezuelane e la consistente sterzata socialista di tutta l’America Latina e Meridionale, di fatto, impongono al sistema americano di ricercare altre risorse per sostenere il altamente dissipante sistema su cui si basa.
Ma la termodinamica ci indica anche che i sistemi complessi come le organizzazioni statali si reggono su equilibri peculiari alla “storicità” del sistema dato. Eventuali ripercussioni esterne non farebbero altro che destabilizzarli. Il sistema a questo punto fluttua alla ricerca di altri equilibri consoni alla sua struttura e alle sue risorse specifiche. Bush pensa di abbattere un albero impiantandone un altro ex novo, mentre in realtà l’Iraq è un albero reciso alla base che ha bisogno di sostegno e cure per ricrescere forte.
La retorica.
Indubbiamente l’impiccagione di Saddam Hussein con sentenza di un tribunale internazionale, l’invio di altri 21.500 soldati e le minacce a Iran e Siria rappresentano dei fatti mediatici di indubbio interesse. Essi partecipano alla retorica neocon della “dottrina della prevenzione” e servono a rafforzare l’idea di superiorità e coerenza dell’azione strategica e militare americana. Il tutto al fine di continuare a far pervenire i capitali internazionali, per metter mano sui giacimenti di idrocarburi e per alimentare l’industria bellica e, di conseguenza, l’interna economia “pesante”.
La retorica ci insegna che la forma del discorso, al di là dei suoi contenuti, ci pone in condizione di sudditanza all’interno del discorso subito. La forma del discorso è, infatti, paragonabile alla lenza in cima alla quale le parole stanno come l’esca sull’amo, mediante il quale il pescatore prende i pesci senza muoversi. Non siamo in presenza di funzione persuasiva della lingua, ma di un uso simbolico del discorso secondo un procedimento di causa-effetto: il “mostrare i muscoli” è sì un enunciato, ma non è solo un enunciato, perché è al contempo un’azione [6]. L’azione sta nel fatto che gli USA mettono in bocca ai loro interlocutori ciò che devono dire e, di conseguenza, fare. In altre parole, anticipano la risposta, dando per scontato che sia l’interlocutore a far parlare il messaggio mediatico e non gli stessi americani autori dell’enunciato. L’offensiva bellica della sovranità di parlatore della controparte per farlo rientrare nel gregge, produce un’azione offensiva a-testuale. Tale offensiva, infatti, non lascia aperta l’eventualità di una risposta testuale, portando ad un’escalation di discorsi persuasivi improntati sulla metafora bellica [7].
Da pochi giorni gli Stati Uniti sono intervenuti direttamente in Somalia. Hanno massacrato decine di civili spacciandoli per terroristi. Quei morti sono stati necessari, propedeutici e funzionali all'annuncio dell'escalation in Iraq: ''Se siamo costretti ad intervenire in uno scenario apparentemente marginale come quello del Corno d'Africa, tanto meno possiamo lasciare campo libero in Iraq''.
Quello in Somalia è un intervento illegittimo, unilaterale, soprattutto imprudente, ma che serve a dimostrare, agli spettatori di Rete4 e Fox-TV, che dietro la maschera della minaccia terrorista si debba accettare tutto [8].
La politica interna.
Alan Friedman pensa che l’amministrazione voglia scaricare su una possibile opposizione nel congresso da parte dei democratici di Nancy Pelosi, la mancata vittoria in Iraq. Il tutto per rilanciare il candidato repubblicano che probabilmente John McCain che andrà a sfidare Barack Obama oppure Hilary Rodham Clinton alle presidenziali del 2008 [9].
Di certo esacerbare il bagno di sangue ed i conflitti regionali per una faccenda di candidabilità repubblicana, non sembra un elogio alla virtù morale.
La storia.
Gli Stati Uniti hanno già impiantato una democrazia ex-novo in un paese molto difficile ma in modo relativamente indolore. In Giappone una nazione allo stremo accettò la pax americana impartita dal generale Douglas MacArthur, per mezzo di una costituzione ottriata, ossia calata dall’alto unilateralmente, e il rifiuto della guerra anche come mezzo di difesa.
In Iraq però non sembra possibile.Il 26 luglio 1945, i leader degli alleati Winston Churchill, Harry S. Truman e Joseph Stalin chiesero, nella dichiarazione di Postdam, la resa incondizionata del Giappone. Il documento affermava che ''Le forze di occupazione degli alleati si ritireranno dal Giappone non appena questi obiettivi saranno stati portati a compimento e non appena si sarà stabilito un governo responsabile e incline alla pace secondo la volontà liberamente espressa del popolo giapponese''. Gli alleati non cercavano semplicemente il punimento o il risarcimento dei danni di guerra, quanto piuttosto dei cambiamenti fondamentali nella natura del sistema politico. Come disse lo scienziato politico Robert E. Ward: ''L'occupazione fu forse l'operazione più esaustivamente pianificata di cambiamento politico massiccio diretto dall'esterno nella storia del mondo.'' Per ottenere le stesse condizioni anche in Iraq si dovrebbe sganciare una bomba atomica di media potenza su una città secondaria. Ma farlo significherebbe la rottura dei rapporti economici e diplomatici con quasi tutti i paesi dell’ONU, e la fine della credibilità e della moralità agli occhi del mondo.
Conclusioni. .
Gli Stati Uniti si comportano come quegli anziani contadini chiusi nel loro ranch che sparano a chiunque entri nella loro proprietà. Essi sentono che il loro potere è traballante e quindi, presi da una irrefrenabile iper-attività, compiono atti sconclusionati ed irrazionali per raggiungere i loro obiettivi.
Semplicemente, non tutti vogliono diventare americani.
Note:
1.Stanley Kubrick, Full Metal Jacket, 1987.
2. John Locke nel Secondo Trattato del 1689: “il popolo per difendersi deve agire prima che sia troppo tardi e il male sia divenuto incurabile”.
3. Slavoj Zizek, Chi impiccherà George W. Bush? Da Il Manifesto del 10/01/2007
4. Lev Trosky, Bilanci e Prospettive, 1905.
5. Ezio Bonsignore, Iraq, la strategia di Bush e la Führerbunkersyndrome, Pagine di Difesa, 11/01/2007
6. La Teoria degli Atti Linguistici è di John Langshaw Austin, How To Do Things With Words, 1962 e John Searle, Speech acts, 1969.
7. Si veda Gian Paolo Caprettini, La Scatola Parlante, 1996. Quest’analisi della politica del discorso è stata approfondita da Alfred N. Whitehead, Symbolism, 1958. George N. Gordon, The Language of Communication, 1969. Marshall McLuhan, From Clichè to Archtype, 1970. Murray Edelman, The symbolic uses of politics, 1976. Edelman, nella sua teoria simbolica della politica, definisce come simbolo qualsiasi cosa a patto che produca degli effetti psicologicamente indicati
8. Gennaro Carotenuto, Fermate Gorge Bush, il piccolo Nerone che vuole il suo Vietnam, 11/01/2007.
9. Dal TG3 dell’ 11/01/2007 delle ore 23.15.