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Il poema della provincia americana, tra un urlo e una risata: Twin Peaks e Desperate Housewives.

Un brano melodico anni ’50 accompagna lo sguardo dal cielo ad un curato cespuglio di rose che costeggia uno steccato bianco; sulla strada passa un camion rosso con un pompiere sorridente; un altro cespuglio, stavolta di tulipani gialli, oscilla al vento; un’ausiliaria del traffico, anche lei felice e sorridente, aiuta i bambini delle elementari ad attraversare la strada; poi, un bel villino bianco a due piani, con tetto spiovente, giardino e garage di fianco; un uomo anziano innaffia il prato con un tubo, mentre la moglie, in casa, sorseggia placidamente un tè davanti alla tv. All’esterno, il rubinetto, che sta fornendo acqua al sifone per innaffiare, comincia a perdere; il sifone stesso si incastra in una pianta: l’uomo cerca di liberarlo, ma improvvisamente viene preso da un attacco cardiaco e comincia a rotolarsi a terra, in preda a convulsioni. Continua a stringere nelle mani il sifone, con il suo cagnolino che tenta di bere l’acqua che ancora schizza via, impazzita. Un bambino di pochi anni zampetta lì vicino. Siamo vicini all’uomo, immobile nell’erba e nel fango, poi il nostro sguardo si perde tra i fili d’erba, sempre più giù, dove un branco di insetti neri vaga convulsamente, il loro rumore sovrasta il silenzio e la quiete. Poi di nuovo il cielo, coperto da un cartello: “Benvenuti a Lumberton!”
Questa sequenza, della durata esatta di due minuti, è la sequenza di apertura di Velluto Blu, film di David Lynch del 1986. Due minuti, questo il tempo che è bastato al regista per raccontare l’essenza profonda della provincia americana, che da buon provinciale del Montana, vissuto negli anni ’50, ha assorbito profondamente. Un mondo lindo e pinto, con steccati bianchi e villini a due piani tutti simili tra loro, tutti col proprio giardino e garage, immagine tipica per descrivere la realizzazione del Sogno Americano . Eppure quest’equilibrio apparente si rompe di continuo: il rubinetto perde, il tubo si impiglia nelle belle rose, un uomo cade nel fango, corteggiato dalla morte e sotto quell’erba, amorevolmente innaffiata e curata, lottano aspramente orde di insetti. La metafora è chiara: sotto il candido c’è, ben nascosto, il marcio.
Viene da chiedersi come mai un regista come Lynch abbia voluto cimentarsi subito dopo con una serie televisiva capace di indagare ancora sotto l’erba della provincia americana e portare in superficie l’orrore, ponendolo di fianco ad un cespuglio di rose. Insomma, quale motivo ha spinto Lynch a realizzare Twin Peaks?
In un intervista, Lynch dichiara: "La televisione è un teleobiettivo, mentre il cinema è un grandangolo. Al cinema si può mettere in scena una sinfonia, mentre in televisione ci si deve limitare ad un cigolìo. Unico vantaggio: il cigolìo può essere continuo" .
Dunque, anche una personalità artistica e creativa come David Lynch ha colto, nella formula della serialità televisiva, delle enormi potenzialità narrative. Il serial offre al suo autore una risorsa che il cinema non può offrire: la durata, la continuità. Un’enorme quantità di tempo a disposizione, per creare e sciogliere il viluppo di emozioni e storie che ciascun personaggio porta con sé; il tempo, per lo spettatore, di vivere con lui e percorrere insieme un tratto lungo di strada. Una dilatazione (potenzialmente) infinita dell’emozione cinematografica, allo stesso tempo frustrata e tenuta viva dall’attesa per il prossimo episodio: funzionamento simile alle leggi del desiderio sessuale, terreno così affascinante per David Lynch.
Ecco perché Twin Peaks: un mondo ordinario, dove persone ordinarie (all’apparenza) tirano fuori il peggio di loro, fino a sprofondare in inferni e paradisi paralleli. Mondi che Lynch e il co-autore Mark Frost si divertono a creare, in un crescendo di orrore e paura. Twin Peaks è un urlo, prima soffocato, poi compreso intimamente,infine tirato fuori.
Dodici anni più tardi, quell’urlo si è trasformato in una risata. Non una risata semplice, schietta e cristallina, ma una risata isterica, che maschera la realtà e permette di andare avanti, unendo la leggerezza alla consapevolezza. Di nuovo la provincia americana e il suo marcio nascosto diventano protagonisti di un serial tv: Desperate Housewives. Lumberton è diventata Twin Peaks, che è diventata Fairwiew, sobborgo tipico dell’opulenza borghese. Tuttavia ci sono gli stessi villini a schiera, con giardino e garage. Gli stessi cespugli di rose vicino agli steccati bianchi. Le stesse buone maniere tra vicini di casa. Ma ci sono anche la stessa invidia, rancore, rabbia, desiderio di violenza e desiderio di affetto che ci sono a Twin Peaks. Anche Fairwiew è un mondo ordinario, dove persone ordinarie (all’apparenza), tirano fuori il peggio di loro. Eppure Twin Peaks e Desperate Housewives sono profondamente diversi.

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1 INTRODUZIONE Un brano melodico anni ’50 accompagna lo sguardo dal cielo ad un curato cespuglio di rose che costeggia uno steccato bianco; sulla strada passa un camion rosso, dal quale un pompiere sorridente e il suo cane salutano con la mano; un altro cespuglio, stavolta di tulipani gialli, oscilla al vento vicino al suo bianco steccato; un’ausiliaria del traffico, anche lei felice e sorridente, aiuta i bambini delle elementari ad attraversare la strada, fermando le auto; poi, un bel villino bianco a due piani, con tetto spiovente, giardino e garage di fianco; un uomo anziano innaffia il prato con un tubo, mentre la moglie, in casa, sorseggia placidamente un tè davanti alla tv: sta vedendo un film d’azione. All’esterno, il rubinetto, che sta fornendo acqua al sifone per innaffiare, comincia a perdere; il sifone stesso si incastra in una pianta: l’uomo cerca di liberarlo, ma improvvisamente viene preso da un attacco cardiaco e comincia a rotolarsi a terra, in preda a convulsioni. Continua a stringere nelle mani il sifone, con il suo cagnolino che tenta di bere l’acqua che ancora schizza via, impazzita. Un bambino di pochi anni

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