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Telerilevamento applicato al monitoraggio dei danni di origine atmosferica e confronto con perizie assicurative: il caso studio lombardo

Malgrado una riduzione graduale della superficie coltivata a mais, in Italia esso occupa ancora quasi un milione di ettari. Alcune tra le principali avversità abiotiche del mais sono la grandine e il vento forte. Nel 2019 il mais rappresentava più del 9% del valore produttivo agricolo assicurato in Italia, ovvero una superficie di 240.000 ettari ed un capitale assicurato di oltre 500 milioni di euro.
Dopo un evento, dei tecnici preposti stimano il prodotto assicurato mancante causa avversità atmosferiche tramite tabelle e grafici prodotti dalla fine degli anni ’60, ancora validi. Tuttavia, alcuni studi hanno evidenziato che queste operazioni in campo sono generalmente poco accurate e sono influenzate dall’esperienza dei tecnici operanti.
Di recente sono stati proposti metodi per la stima della produzione presente nel campo che si avvalgono della luce riflessa dalla coltura al fine di stimare parametri fisici. Numerose piattaforme come quad, droni e satelliti orbitanti sono stati testati al fine di produrre mappe di stima delle produzioni e definire metodi operativi attuabili a livello aziendale ed assicurativo.
Questa tesi è stata ideata al fine di valutare degli indici vegetativi elaborati da dati Sentinel-2 (ESA) come possibili predittori qualitativi e quantitativi del danno prodotto dagli agenti atmosferici. Fulcro del lavoro, il discernimento di danni medio-bassi (ovvero compresi tra il 10 ed il 30% della Produzione Lorda Vendibile) tramite indici e loro derivati.

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8 INTRODUZIONE 1.1 Il mais in Italia Il mais (Zea mays L.) è una delle piante maggiormente coltivate al mondo. Importato in Europa subito dopo la scoperta dell’America, si è rapidamente diffuso nei sistemi colturali locali, compreso l’agroecosistema padano. Qui, è stato documentato per la prima volta nel 1554 nel Polesine e nel Veronese e nel 1558 nel Milanese, ha rapidamente sostituito le coltivazioni di sorgo e panico per imporsi come coltura principale nel periodo primaverile-estivo. Tale successo è originato dalla grande plasticità del mais, ovvero nella sua possibilità di adattamento ai sistemi colturali dei climi temperati, e all’aumento delle rese ad ettaro ottenute dalla sua coltivazione. La grande variabilità genetica, emersa in Italia come risultato della selezione adattativa e produttiva dei genotipi introdotti dalle Americhe, ha condotto alla formazione di un complesso di varietà locali e agro-ecotipi adatti a soddisfare le esigenze dei numerosi microclimi offerti dalle condizioni di un’orografia complessa e di una pluviometria estiva tendenzialmente scarsa, specialmente nel sud della penisola. Dal punto di vista agronomico la differenziazione concerne il ciclo tardivo, medio-tardivo (a ciclo pieno), medio-precoce (per semine ritardate) e precoce da montagna o da zone semi-aride. Mentre nei primi secoli la coltivazione maidicola era unicamente condotta in regime pluviale, da pantano o con occasionali interventi irrigui, nel periodo tra i due conflitti mondiali si è notevolmente espanso il ricorso agli interventi irrigui, che ha determinato la selezione di varietà ad alta produttività e l’utilizzo di fertilizzanti minerali che ha generato un progressivo incremento delle rese (Brandolini e Brandolini, 2007; Maggiore e Agostini, 2007).

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