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L'obbligo di donare: dall'elemosina alla relazione d'aiuto. Operatori e volontari nei servizi per senza dimora a Torino

Il termine “dono” è usato spesso con imbarazzo nelle scienze sociali a causa della sua “opacità” di significato. Si tratta di un concetto ambiguo, spesso associato a sinonimi che, a ben vedere, si sovrappongono solo parzialmente, come donazione, dote, regalo, elargizione, elemosina, presente, offerta, sacrificio (Pavanello, 2008).
Questo lavoro ha, perciò, due obiettivi: il primo è quello di fare chiarezza sul significato sociologico del dono, il secondo è quello di dimostrarne l’applicabilità analitica. Una delle premesse da cui si è partiti è la distinzione tra una definizione morale di dono in termini di “altruismo puro”, inteso come atto disinteressato, gratuito, unilaterale, talvolta persino “sacrificale”, e una definizione sociologica di natura relazionale, in grado di cogliere i meccanismi di reciprocazione e il ruolo che il dono gioca nella creazione e nel rafforzamento dei legami sociali.
Non si intende, dunque, fare del dono una “bandiera ideologica” all’interno delle scienze sociali, né promuovere un’economia alternativa, quanto utilizzare il concetto di dono come chiave di lettura di determinati processi sociali. Infatti, occorre riscontrare – senza farsi spaventare dalle implicazioni di valore – che anche nella nostra società, indicata come capitalistica, individualista e “mercificata”, esistono diversi ambiti della vita sociale, sia nel “tempo libero” che in quello lavorativo, in cui prevalgono la relazione rispetto all’interesse materiale, l’impegno “gratuito” e la condivisione rispetto al guadagno. Osservare questi fenomeni in termini di scambio o unicamente dal lato degli effetti materiali che producono sarebbe riduttivo, ecco perché si è scelto di “mettere alla prova” le teorie del dono, di verificarne la portata euristica nello specifico caso delle relazioni di aiuto che si instaurano tra volontari e operatori che operano nei servizi rivolti a persone “senza dimora”. L’ipotesi teorica è che un’analisi delle relazioni d’aiuto attraverso il “paradigma del dono” permetta, innanzitutto, di far emergere aspetti che normalmente restano in secondo piano, ma che non per questo sono meno rilevanti, e in secondo luogo, di offrire un punto di vista diverso su caratteristiche note. L’attenzione viene posta non tanto sul contenuto materiale della relazione, quanto sui “gesti”, sulle dinamiche relazionali che si sviluppano tra volontari/operatori e utenti. Parlare di dono non implica, lo ripetiamo, connotare in senso moralmente positivo il lavoro di volontari e operatori, né applicare una visione “buonista” alla relazione d’aiuto. Il dono rappresenta qui una strategia interpretativa. Trattandosi di una ricerca di tipo esplorativo, si è ritenuto opportuno utilizzare una metodologia di tipo qualitativo, che fosse in grado di cogliere le narrazioni, l’universo valoriale e le rappresentazioni dei soggetti coinvolti. Sono state, quindi, condotte undici interviste discorsive alle quali è seguito un focus group, il cui scopo principale è stato osservare la formazione (o la ridefinizione) delle opinioni in un contesto collettivo, ridiscutendo anche alcune opinioni emerse durante le interviste. La tesi si struttura in due parti tra loro distinte ma complementari. La prima parte del lavoro è dedicata alla presentazione della “sociologia del dono”. Si tratta di un progetto – forse ambizioso – di sintesi delle principali teorie riguardanti il dono, dai primi studi antropologici sulle economie arcaiche agli studi moderni sulle “economie del dono”. Il rischio di un lavoro di questo tipo potrebbe essere quello di cadere in una sorta di sincretismo teorico, nel quale si mescolano posizioni divergenti e aspetti distinti. La “strategia” utilizzata per ridurre al minimo questo rischio è stata quella di seguire un filo conduttore nelle argomentazioni presentate che risponda a un criterio, a nostro avviso, di coerenza e plausibilità. Nella seconda parte della tesi, in particolare, sono state analizzate le relazioni d’aiuto che hanno luogo nell’ambito della lotta all’esclusione sociale delle persone senza dimora. È stato, in questo lavoro, considerato un solo polo relazionale, ovvero quello degli operatori sociali e dei volontari che operano nei servizi, pubblici e privati, della città di Torino. Da ciò deriva il titolo della tesi “l’obbligo di donare”, ovvero come nasce e come si definisce il dono per coloro che offrono/investono il proprio tempo e le proprie risorse personali (intellettive e affettive) nelle relazioni d’aiuto con il prossimo.
Attraverso il resoconto delle interviste e del focus group, si è cercato di cogliere, innanzitutto, gli aspetti motivazionali e di definizione di sé dei donatori – l’obbligo di donare; in secondo luogo, la definizione dell’altro, ovvero le rappresentazioni sociali dei “poveri” – (portatori dell’) obbligo di ricevere; infine, la percezione della relazione e di eventuali elementi di reciprocità – l’obbligo di ricambiare.

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5 INTRODUZIONE Il termine “dono” è usato spesso con imbarazzo nelle scienze sociali a causa della sua “opacità” di significato. Si tratta di un concetto ambiguo, spesso associato a sinonimi che, a ben vedere, si sovrappongono solo parzialmente, come donazione, dote, regalo, elargizione, elemosina, presente, offerta, sacrificio (Pavanello, 2008). Questo lavoro ha, perciò, due obiettivi: il primo è quello di fare chiarezza sul significato sociologico del dono, il secondo è quello di dimostrarne l’applicabilità analitica. Una delle premesse da cui si è partiti è la distinzione tra una definizione morale di dono in termini di “altruismo puro”, inteso come atto disinteressato, gratuito, unilaterale, talvolta persino “sacrificale”, e una definizione sociologica di natura relazionale, in grado di cogliere i meccanismi di reciprocazione e il ruolo che il dono gioca nella creazione e nel rafforzamento dei legami sociali. Non si intende, dunque, fare del dono una “bandiera ideologica” all’interno delle scienze sociali, né promuovere un’economia alternativa, quanto utilizzare il concetto di dono come chiave di lettura di determinati processi sociali. Infatti, occorre riscontrare – senza farsi spaventare dalle implicazioni di valore – che anche nella nostra società, indicata come capitalistica, individualista e “mercificata”, esistono diversi ambiti della vita sociale, sia nel “tempo libero” che in quello lavorativo, in cui prevalgono la relazione rispetto all’interesse materiale, l’impegno “gratuito” e la condivisione rispetto al guadagno. Osservare questi fenomeni in termini di scambio o unicamente dal lato degli effetti materiali che producono sarebbe riduttivo: Il fatto che chi dona dà a chi riceve implica che chi riceve ha valore per colei/colui che non lascia il suo bisogno senza risposta, non la/lo ignora o non dà il bene a qualcun altro. Questa implicazione di valore può essere rilevato dal donatore, dal ricevente o da chiunque osservi e quindi appare non essere una valutazione soggettiva di nessuno, ma un fatto (Vaughan, 2005). Ecco perché si è scelto di “mettere alla prova” le teorie del dono, di verificarne la portata euristica nello specifico caso delle relazioni di aiuto che si instaurano tra volontari e operatori che operano nei servizi rivolti a persone “senza dimora”. L’ipotesi teorica è che un’analisi delle relazioni d’aiuto attraverso il “paradigma del dono”

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Parole chiave

volontariato
dono
rito
cooperativa sociale
burn-out
associazionismo
relazione d'aiuto
mauss
carità
homeless
homelessness
senza dimora
gratuità
serivizi sociali
bassa soglia
elemosina
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