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Istituzione penitenziaria e organizzazione: il ruolo delle risorse umane nelle interazioni con i detenuti

Le carceri ci riguardano non perché realtà dissociata dal nostro vivere comune bensì in quanto microcosmo riproducente il sistema sociale più vasto in un concentrato di contraddizioni. Eppure, di carcere non si parla mai, se non quando questo non/luogo di permanenza coatta entra per un attimo nelle nostre menti tramite le rappresentazioni che ne propongono i mass-media, continuando a favorire i meccanismi di inclusione/esclusione insiti nell’intero sistema societario. Il carcere, costituisce tutt’oggi, nella maggior parte dei sistemi penitenziari contemporanei, la struttura centrale all’interno del sistema delle pene; significa essenzialmente istituzione totale. In quanto tale “si impadronisce di parte del tempo e degli interessi di coloro che da essa dipendono, offrendo in cambio un particolare tipo di mondo: il che significa che tende a circuire i suoi componenti in una sorta di azione inglobante. Questo carattere inglobante o totale è simbolizzato nell’impedimento allo scambio sociale e all’uscita verso il mondo esterno” (Goffman, 2001: 33). L’organizzazione di tutto ciò è costituita da una rete complessa nella quale interagiscono diverse figure professionali (secondo l’area d’appartenenza: segreteria, trattamento, sanitaria, sicurezza e ordine, amministrativo-contabile) e la popolazione detenuta. L’ordine dell’interazione è caratterizzato da un sistema piramidale che procede dall’alto verso il basso. Come nella società più vasta, la necessità di ordine tipica di un’istituzione totale, tende ad essere, come fa notare Bauman (2003) un disperato tentativo di imporre uniformità, regolarità e prevedibilità al mondo degli esseri umani. La norma, è il riflesso di un dato modello di ordine sui comportamenti umani, essa circoscrive la gamma dei modelli comportamentali tollerati. Il «dover essere» che implicano (ordine e norma), fraziona l’«essere». Questa azione inglobante circuisce tutti gli attori inseriti in un sì fatto sistema organizzativo favorendo una serie di adattamenti istituzionali che, riducendo al minimo gli spazi discrezionali, finisce con il coinvolgere anche coloro che dovrebbero essere predisposti al mutamento (culturale e organizzativo): gli operatori penitenziari. Questo lavoro intende proporre, da un punto di vista generale, lo studio dell’istituzione penitenziaria e dell’organizzazione di questa, quale modello storicamente affermatosi e, da un punto di vista particolare, lo studio della realtà istituzionale di un carcere (Regina Coeli) abbracciando l’ottica interazionista sviluppata da Goffman. Su quest’ultimo punto si rende sin da ora necessario chiarire che l’uso di concetti interpretativi utilizzati dal noto sociologo è stato allargato allo studio di coloro che operano all’interno dell’istituzione, partendo dalla convinzione che un’istituzione totale sia terreno fertile per l’osservazione non solo degli attori coattivamente presenti ma anche per chi al suo interno svolge un ruolo professionale.

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5 Introduzione Le carceri ci riguardano non perché realtà dissociata dal nostro vivere comune bensì in quanto microcosmo riproducente il sistema sociale più vasto in un concentrato di contraddizioni. Eppure, di carcere non si parla mai, se non quando questo non/luogo di permanenza coatta entra per un attimo nelle nostre menti tramite le rappresentazioni che ne propongono i mass-media, continuando a favorire i meccanismi di inclusione/esclusione insiti nell’intero sistema societario. La prigione si è costituita entro quell’inestricabile reticolo di potere-sapere, descritto da Michel Foucault, rispetto al quale non possiamo ignorare che “non esiste relazione di potere senza correlativa costituzione di un campo di sapere, né di sapere che non supponga e non costituisca allo stesso tempo relazioni di potere” (Foucault, 1993: 31). Per tutti, l’attuale sistema penitenziario può rappresentare un traguardo di civiltà se contrapposto alle immagini del “supplizio” presenti nel noto testo di Foucault Sorvegliare e punire. Nascita della prigione; ma ciò non è sufficiente a rendere meno visibile il passaggio, evidenziato dall’autore, che, servendosi di un “potere disciplinare”, vale a dire quell’insieme di pratiche e di conoscenze orientate sugli individui allo scopo di renderli conformi a determinati codici di comportamento, ha condotto dalla presa del corpo (quale oggetto pubblico da esibire) all’oggettivazione delle menti. Si è assistito, nel succedersi storico delle varie culture, ad un continuo mutare delle concrete modalità secondo le quali la pena viene esercitata, oltre che dell’indicazione di quali sono le condotte meritevoli di sanzioni penali; ciononostante, la pena ha continuato ad essere intesa come un “irrinunciabile strumento di controllo sociale, non essendo possibile, senza il ricorso ad essa, organizzare, gestire, far funzionare qualsiasi tipo di società” (Ponti, 1999:548) e, di riflesso, la prigione ha continuato a rappresentare “la detestabile soluzione, di cui non si saprebbe fare a meno” (Foucault, 1993: 252). Ma cos’è un istituto penitenziario? Il carcere, costituisce tutt’oggi, nella maggior parte dei sistemi penitenziari contemporanei, la struttura centrale all’interno del sistema delle pene; significa essenzialmente istituzione totale. In quanto tale “si impadronisce di parte del tempo e degli interessi di coloro che da essa dipendono, offrendo in cambio un particolare tipo di mondo: il che significa che tende a circuire i suoi componenti in una sorta di azione inglobante. Questo carattere inglobante o totale è simbolizzato nell’impedimento allo scambio sociale e all’uscita verso il mondo esterno” (Goffman, 2001: 33). L’organizzazione di tutto ciò è costituita da una rete complessa nella quale interagiscono diverse figure professionali (secondo l’area d’appartenenza: segreteria, trattamento, sanitaria, sicurezza e ordine, amministrativo-contabile) e la popolazione detenuta. L’ordine dell’interazione è caratterizzato da un sistema piramidale che procede dall’alto verso il basso. Come nella società più vasta, la necessità di ordine tipica di un’istituzione totale, tende ad essere, come fa notare Bauman (2003) un disperato tentativo di imporre uniformità, regolarità e prevedibilità al mondo degli esseri umani. La norma, è il riflesso di un dato modello di ordine sui comportamenti umani, essa circoscrive la gamma dei modelli comportamentali tollerati. Il «dover essere» che implicano (ordine e norma), fraziona l’«essere». Questa azione inglobante circuisce tutti gli attori inseriti in un sì fatto sistema organizzativo favorendo una serie di adattamenti istituzionali che, riducendo al minimo gli spazi discrezionali, finisce con il coinvolgere anche coloro che dovrebbero essere predisposti al mutamento (culturale e organizzativo): gli operatori penitenziari. Questo lavoro intende proporre, da un punto di vista generale, lo studio dell’istituzione penitenziaria e dell’organizzazione di questa, quale modello storicamente affermatosi e, da un punto di vista

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