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Un'analisi economica, normativa e sociologica sulla flessibilità nel mercato del lavoro in dieci anni di applicazione della Legge Biagi

Questo lavoro si concentra su uno dei temi più dibattuti degli ultimi anni, sul quale i vari governi che si sono succeduti sono maggiormente intervenuti e per il quale si sono verificate le più importanti tensioni sociali. Il mercato del lavoro è in effetti da tutti considerato (insieme alla politica fiscale) lo specchio di una società e, nello stesso tempo, l’istituzione più rappresentativa di un’economia.
In particolare, negli ultimi due decenni, al centro dello scontro politico sul lavoro in Italia è stato il tema della flessibilità, nel senso della necessità di una maggiore deregolamentazione del sistema lavoristico italiano, sostenuto con forza da imprenditori e forze politiche liberali, vista con sospetto, se non proprio osteggiata, dai sindacati e dai partiti di sinistra. Come spiegherò più esaurientemente nel prosieguo del lavoro, per i primi il nostro mercato del lavoro era (e continua ad essere per alcuni) non dinamico, poco elastico rispetto alle esigenze del mercato e caratterizzato da un’eccessiva protezione a favore dei lavoratori, trovando in queste cause la spiegazione sia dell’insoddisfacente sviluppo economico, sia della presenza di una elevata e costante disoccupazione. Per i secondi, al contrario, l’introduzione della flessibilità veniva ad assumere l’aspetto di un semplice espediente per poter permettere ai datori di lavoro di assumere del personale a basso costo, sottraendosi agli obblighi derivanti dall’instaurazione di un contratto standard, minando nel contempo la sicurezza economica dei lavoratori.
In questo lavoro cercheremo di capire quale sia invero la realtà delle cose, partendo dalle motivazioni che spinsero i governi ad attuare riforme del lavoro improntate alla flessibilità, per giungere infine ad una lettura, e successiva analisi, dei dati sulla situazione occupazionale degli ultimi anni, in particolar modo per quella fascia di lavoratori direttamente interessati: i lavoratori flessibili o atipici.

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5 Introduzione Questo lavoro si concentra su uno dei temi più dibattuti degli ultimi anni, sul quale i vari governi che si sono succeduti sono maggiormente intervenuti e per il quale si sono verificate le più importanti tensioni sociali. Il mercato del lavoro è in effetti da tutti considerato (insieme alla politica fiscale) lo specchio di una società e, nello stesso tempo, l’istituzione più rappresentativa di un’economia. In particolare, negli ultimi due decenni, al centro dello scontro politico sul lavoro in Italia è stato il tema della flessibilità, nel senso della necessità di una maggiore deregolamentazione del sistema lavoristico italiano, sostenuto con forza da imprenditori e forze politiche liberali, vista con sospetto, se non proprio osteggiata, dai sindacati e dai partiti di sinistra. Come spiegherò più esaurientemente nel prosieguo del lavoro, per i primi il nostro mercato del lavoro era (e continua ad essere per alcuni) non dinamico, poco elastico rispetto alle esigenze del mercato e caratterizzato da un’eccessiva protezione a favore dei lavoratori, trovando in queste cause la spiegazione sia dell’insoddisfacente sviluppo economico, sia della presenza di una elevata e costante disoccupazione. Per i secondi, al contrario, l’introduzione della flessibilità veniva ad assumere l’aspetto di un semplice espediente per poter permettere ai datori di lavoro di assumere del personale a basso costo, sottraendosi agli obblighi derivanti dall’instaurazione di un contratto standard, minando nel contempo la sicurezza economica dei lavoratori. In questo lavoro cercheremo di capire quale sia invero la realtà delle cose, partendo dalle motivazioni che spinsero i governi ad attuare riforme del lavoro improntate alla flessibilità, per giungere infine ad una lettura, e successiva analisi, dei dati sulla situazione occupazionale degli ultimi anni, in particolar modo per quella fascia di lavoratori direttamente interessati: i lavoratori flessibili o atipici. La volontà di confrontarsi con tale progetto d’analisi ha origine dal grande interesse per il sistema lavoristico italiano, capace di rispecchiare, secondo il parere di chi scrive, il livello di democrazia e di aggregazione sociale presente nel nostro Paese (e così anche negli altri); ma anche per l’esigenza di monitorare lo stato delle cose a dieci anni di distanza dalla controversa e dibattuta riforma del mercato del lavoro approvata nel 2003, la cosiddetta Legge Biagi. Seppur non sia la prima né l’unica promulgata nel passato recente dell’Italia, questa riforma è tutt’ora considerata la più importante mai adottata, sia per l’onnicomprensività dei temi trattati, sia per la radicalità delle idee di cui si faceva portatrice, scatenando uno scontro politico-sociale, ma anche economico e normativo, di rado raggiunto in Italia. Questa ricerca sarà strutturata in più parti. Nella prima, sarà riportato un excursus teorico nel quale saranno presentati i principali modelli economico-concettuali che nell’ultimo secolo hanno cercato di descrivere il mercato del lavoro e i rapporti che intercorrono tra il salario e i livelli di disoccupazione e d’inflazione: partendo dai neoclassici, e passando per le teorie keynesiane, di Friedman e della nuova macroeconomia classica, giungeremo ad esporre i modelli più recenti, nei quali il mercato non risulta essere in un regime di libera concorrenza, bensì influenzato da vari fattori istituzionali, in particolar modo i sindacati.

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