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Cyberbullismo: quando la "condivisione sociale" diventa "condivisione d'odio"

Il presente elaborato di tesi analizza una serie di atti di devianza commessi nel contesto virtuale, fino ad arrivare nello specifico al cyberbullismo.
Nel primo capitolo di questo lavoro ci si sofferma in primis sul concetto di comunicazione e sull’importanza da esso assunta nella sociologia a partire dalle trasformazioni sociali, economiche e culturali del XIX secolo, ponendosi come fulcro di diversi costrutti teorici. La comunicazione è dunque il pilastro di ogni relazione sociale ed interpersonale: l’importanza di tale concetto nelle scienze sociali si espande grazie alla nascita e diffusione del social media, fulcro della nostra quotidianità sin dalla fine degli anni Novanta, grazie ad un intreccio tra comunicazione e condivisione che contribuisce alla nascita della network society e al rafforzamento di un senso di appartenenza diffuso tra le cosiddette comunità virtuali.
La condivisione sui social media è dunque intesa in primis come “cura delle relazioni sociali”, in funzione del mantra “sharing is caring” .
Nel secondo capitolo si analizza, per contro, “l’altra faccia della medaglia”.
Le stesse affordances – ovvero, le possibilità e modalità d’uso messe a disposizione dalle tecnologie moderne – nascondono fattualmente più insidie di quanto si tende a credere: gli stessi meccanismi di privacy, per citare un esempio, nascondono paradossi che tendenzialmente dimostrano come ogni utente sia sottoposto a una sorveglianza, indipendentemente da quanto questi cerchi di separare la propria sfera pubblica da quella privata.
Per effettuare un’ulteriore introspezione critica su determinati aspetti dell’Internet, è importante approfondire il pensiero del sociologo bielorusso Evgeny Morozov attraverso la sua principale opera L’ingenuità della rete. Il lato oscuro della libertà di Internet (2011): l’autore critica particolarmente la cosiddetta “dottrina Google”, concretizzata in un’errata convinzione che le nuove tecnologie possano essere una soluzione globale a problemi di una vasta complessità sociale e culturale, invitando i lettori ad acquisire sì consapevolezza del potenziale di suddette tecnologie ma, d’altro canto, anche e soprattutto al non farne un uso improprio.
Nel terzo ed ultimo capitolo si parla di come la diffusione di una “cultura dell’odio”, ormai “normalizzata” e ben radicata nel quotidiano, trovi la propria ragion d’essere nella diffusione del fenomeno del cyberbullismo.
Ciò che lo distingue dal bullismo “tradizionale” è la sua diffusione su scala globale, che lo porta non più ad essere limitato unicamente a un ambiente circoscritto (quale quello scolastico o lavorativo), bensì a poter essere perpetrato in ogni momento: ciò è dovuto alla velocità delle moderne tecnologie di comunicazione e alla normalizzazione dell’odio di cui sopra, accentuata dalla mancanza di rilevanti componenti delle relazioni in real life, che garantisce un alone di “immunità” agli autori delle vessazioni.
Dalla costante deresponsabilizzazione degli atti di cyberbullismo, scaturisce una distorsione dell’effettiva portata dannosa di suddetti atti. Da tutto ciò emerge una rilevante certezza: indipendentemente dall’intenzionalità del gesto, l’impatto psicologico – temporaneo o permanente che sia – di cui risentono le vittime di tali vessazioni è sfortunatamente reale. La spiegazione più lampante di questa notevole, dolorosa ricaduta psicologica è da riscontrare nei numerosi casi di suicidio da parte di vittime di bullismo e cyberbullismo, principalmente adolescenti. Una tematica tanto delicata è stata certamente un rilevante oggetto di studio all’interno delle scienze sociali, in particolar modo da parte di Durkheim (1897) che delinea quattro tipologie di suicidio – egoistico, altruistico, fatalistico, anomico – in funzione dell’integrazione sociale del suicida e la sua conformità alle norme sociali, in continuo mutamento.
Detto ciò, è evidente che non sia possibile attribuire la responsabilità di tale fenomeno alla diffusione dei social network, quanto piuttosto all’utilizzo scorretto che diversi utenti ne fanno. Nelle conclusioni di questo elaborato viene sottolineato come il cyberbullismo sia un problema di vasta complessità sociale, talvolta minimizzato a causa di una carente educazione emotiva e istituzionale in merito e una fittizia libertà di espressione che, fattualmente, altro non è se non una “libertà di odiare”: spetta dunque ai principali agenti di socializzazione – in tal caso, la famiglia e le istituzioni scolastiche – il compito di diffondere maggiore consapevolezza sulla gravità del fenomeno e l’educazione a un utilizzo corretto dei social media, al fine di renderlo un safe space che possa garantire una pacifica convivenza tra i vari utenti.

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4 INTRODUZIONE Il presente elaborato di tesi analizza una serie di atti di devianza commessi nel contesto virtuale, fino ad arrivare nello specifico al cyberbullismo. Nel primo capitolo di questo lavoro ci si sofferma in primis sul concetto di comunicazione e sull’importanza da esso assunta nella sociologia a partire dalle trasformazioni sociali, economiche e culturali del XIX secolo, ponendosi come fulcro di diversi costrutti teorici quali la bullet theory – o “teoria ipodermica” – e il modello di Lasswell. La comunicazione è dunque il pilastro di ogni relazione sociale ed interpersonale e l’importanza di tale concetto nelle scienze sociali si espande grazie alla nascita e diffusione del social media, fulcro della nostra quotidianità sin dalla fine degli anni Novanta: essi incentivano i processi comunicativi associandoli al concetto di condivisione, ragion per cui è importante parlare in tal caso di condivisione sociale o social sharing 1 . La seconda parte di questo capitolo si focalizzerà sull’avvento di Internet e dei social media, grazie ai quali tale concetto si è esteso permettendo di instaurare relazioni interpersonali su scala globale, grazie ad un intreccio tra comunicazione e condivisione che contribuisce alla nascita della network society e al rafforzamento di un senso di appartenenza diffuso tra le cosiddette comunità virtuali (consumatori, fan, adepti, appassionati e piccoli produttori 2 ), il cui obiettivo è principalmente quello di utilizzare le nuove tecnologie di informazione e comunicazione per raccontare la propria storia, in funzione della condivisione di una memoria collettiva. La condivisione sui social media è dunque intesa in primis come “cura delle relazioni sociali”, in funzione del mantra “sharing is caring” 3 . Ma Internet è davvero un luogo “idilliaco” come sembra? 1 N. Vittadini, Social Media Studies. I social media alla soglia della maturità: storie, teorie e temi, FrancoAngeli, Milano, 2018, pag. 102 2 S. Bentivegna, G. Boccia Artieri, Le teorie delle comunicazioni di massa e la sfida digitale, Laterza, Roma-Bari, 2019, pag. 145 3 Ivi, pag. 104

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