4
INTRODUZIONE
Il presente elaborato di tesi analizza una serie di atti di devianza commessi nel
contesto virtuale, fino ad arrivare nello specifico al cyberbullismo.
Nel primo capitolo di questo lavoro ci si sofferma in primis sul concetto di
comunicazione e sull’importanza da esso assunta nella sociologia a partire
dalle trasformazioni sociali, economiche e culturali del XIX secolo, ponendosi
come fulcro di diversi costrutti teorici quali la bullet theory – o “teoria
ipodermica” – e il modello di Lasswell. La comunicazione è dunque il pilastro
di ogni relazione sociale ed interpersonale e l’importanza di tale concetto nelle
scienze sociali si espande grazie alla nascita e diffusione del social media,
fulcro della nostra quotidianità sin dalla fine degli anni Novanta: essi
incentivano i processi comunicativi associandoli al concetto di condivisione,
ragion per cui è importante parlare in tal caso di condivisione sociale o social
sharing
1
. La seconda parte di questo capitolo si focalizzerà sull’avvento di
Internet e dei social media, grazie ai quali tale concetto si è esteso
permettendo di instaurare relazioni interpersonali su scala globale, grazie ad
un intreccio tra comunicazione e condivisione che contribuisce alla nascita
della network society e al rafforzamento di un senso di appartenenza diffuso
tra le cosiddette comunità virtuali (consumatori, fan, adepti, appassionati e
piccoli produttori
2
), il cui obiettivo è principalmente quello di utilizzare le
nuove tecnologie di informazione e comunicazione per raccontare la propria
storia, in funzione della condivisione di una memoria collettiva.
La condivisione sui social media è dunque intesa in primis come “cura delle
relazioni sociali”, in funzione del mantra “sharing is caring”
3
.
Ma Internet è davvero un luogo “idilliaco” come sembra?
1
N. Vittadini, Social Media Studies. I social media alla soglia della maturità: storie, teorie e temi,
FrancoAngeli, Milano, 2018, pag. 102
2
S. Bentivegna, G. Boccia Artieri, Le teorie delle comunicazioni di massa e la sfida digitale, Laterza,
Roma-Bari, 2019, pag. 145
3
Ivi, pag. 104
5
Nel secondo capitolo si analizza, per contro, “l’altra faccia della medaglia”.
Le stesse affordances – ovvero, le possibilità e modalità d’uso messe a
disposizione dalle tecnologie moderne – nascondono fattualmente più insidie
di quanto si tende a credere: gli stessi meccanismi di privacy, per citare un
esempio, nascondono paradossi che tendenzialmente dimostrano come ogni
utente sia sottoposto a una sorveglianza, indipendentemente da quanto questi
cerchi di separare la propria sfera pubblica da quella privata.
Sul versante della sfera privata, si parla di come tessere legami online abbia
indubbiamente i suoi pro e contro: da un lato è possibile avvertire una
vicinanza e una comunanza con l’altro nonostante l’assenza del contatto fisico
grazie all’intermediazione dei moderni dispositivi tecnologici, ma è altrettanto
vero che ciò potrebbe – indirettamente e non – generare nuove forme di
dipendenza dal web, del cui danno risentono maggiormente gli adolescenti che
finiscono per distorcere i valori chiave che permettono il mantenimento di
legami sani e stabili nel tempo. Inoltre, siccome la costruzione di relazioni
interpersonali sui social media passa in primis per la definizione della propria
identità “virtuale”, un altro rischio non di poco conto riguarda la confusione
tra quest’ultima e l’identità “reale” dell’utente, confusione legata altresì alle
pressioni imposte dalle aspettative della propria “audience” che potrebbero
portare l’utente-individuo a trovare rifugio nella propria identità digitale, non
senza svariate conseguenze sul piano psicologico quali crisi identitarie,
smarrimento del sé e stigmatizzazione della salute mentale.
Per effettuare un’ulteriore introspezione critica su determinati aspetti
dell’Internet, è importante approfondire il pensiero del sociologo bielorusso
Evgeny Morozov attraverso la sua principale opera L’ingenuità della rete. Il
lato oscuro della libertà di Internet (2011): citando in particolar modo gli
eventi dell’estate del 2009 a Iran, l’autore critica particolarmente la cosiddetta
“dottrina Google”, concretizzata in un’errata convinzione – diffusa su livelli
sparsi – che le nuove tecnologie possano essere una soluzione globale a
6
problemi di una vasta complessità sociale e culturale, invitando i lettori ad
acquisire sì consapevolezza del potenziale di suddette tecnologie ma, d’altro
canto, anche e soprattutto al non farne un uso improprio.
Un utilizzo improprio dei social media è ben evidente nella diffusione di
fenomeni quali le echo chambers, hate speeches e fake news, il cui
denominatore comune è uno: l’obiettivo di diffondere odio.
Nel terzo ed ultimo capitolo si parla di come la diffusione di una “cultura
dell’odio”, ormai “normalizzata” e ben radicata nel quotidiano, trovi la propria
ragion d’essere nella diffusione del fenomeno del cyberbullismo.
Ciò che lo distingue dal bullismo “tradizionale” è la sua diffusione su scala
globale, che lo porta non più ad essere limitato unicamente a un ambiente
circoscritto (quale quello scolastico o lavorativo), bensì a poter essere
perpetrato in ogni momento: ciò è dovuto alla velocità delle moderne
tecnologie di comunicazione e alla normalizzazione dell’odio di cui sopra,
accentuata dalla mancanza di rilevanti componenti delle relazioni in real life
(quali il contatto fisico, il tono di voce e il linguaggio corporeo): tale
mancanza garantisce un alone di “immunità” agli autori delle vessazioni.
Dalla costante deresponsabilizzazione degli atti di cyberbullismo, scaturisce
una distorsione dell’effettiva portata dannosa di suddetti atti: ciò trova una
possibile spiegazione sul piano psicologico nel cosiddetto “effetto Lucifero” di
cui parlò Zimbardo nel 1971, che fu poi dimostrato scientificamente tramite un
esperimento all’università di Stanford in cui fu preso come riferimento la
teoria della psicologia delle folle, elaborata da Le Bon nel 1895.
Secondo tale teoria, l’azione degli individui all’interno di una folla non è mai
razionale, ma immediata: per tale ragione, è un opportuno oggetto di
discussione l’intenzionalità, da parte di bulli e cyber-bulli, nel compiere azioni
volte a danneggiare la reputazione e la psiche altri individui.
Nel tentativo di effettuare un’introspezione sulla figura dei cyber-bulli e delle
possibili cause del fenomeno di cyberbullismo, emerge una rilevante certezza:
indipendentemente dall’intenzionalità del gesto, l’impatto psicologico –
7
temporaneo o permanente che sia – di cui risentono le vittime di tali
vessazioni è sfortunatamente reale. La spiegazione più lampante di questa
notevole, dolorosa ricaduta psicologica è da riscontrare nei numerosi casi di
suicidio da parte di vittime di bullismo e cyberbullismo, principalmente
adolescenti. Una tematica tanto delicata è stata certamente un rilevante oggetto
di studio all’interno delle scienze sociali, in particolar modo da parte di
Durkheim (1897) che delinea quattro tipologie di suicidio – egoistico,
altruistico, fatalistico, anomico – in funzione dell’integrazione sociale del
suicida e la sua conformità alle norme sociali, in continuo mutamento.
Tale tematica è trattata, in modo realistico, altresì nell’ambiente audiovisivo:
nel paragrafo conclusivo di questo capitolo sono citate le trame di un film
(Cyberbully – Pettegolezzi online, rilasciato nel 2011) e due cortometraggi
(Mai più un banco vuoto, pubblicato nel 2018 in funzione dell’omonima
iniziativa di Fare x Bene Onlus e Figli di un Dio peggiore, uno short movie
pubblicato su YouTube nel 2019), volti a diffondere consapevolezza sul
fenomeno del cyberbullismo e delle atroci conseguenze dello stesso.
Detto ciò, è evidente che non sia possibile attribuire la responsabilità di tale
fenomeno alla diffusione dei social network, quanto piuttosto all’utilizzo
scorretto che diversi utenti ne fanno. Nelle conclusioni di questo elaborato
viene sottolineato come il cyberbullismo sia un problema di vasta complessità
sociale, talvolta minimizzato a causa di una carente educazione emotiva e
istituzionale in merito e una fittizia libertà di espressione che, fattualmente,
altro non è se non una “libertà di odiare”: spetta dunque ai principali agenti di
socializzazione – in tal caso, la famiglia e le istituzioni scolastiche – il compito
di diffondere maggiore consapevolezza sulla gravità del fenomeno e
l’educazione a un utilizzo corretto dei social media, al fine di renderlo un safe
space che possa garantire una pacifica convivenza tra i vari utenti.
8
CAPITOLO I
LE TEORIE DELLA COMUNICAZIONE
1.1 Definizione di comunicazione e teorie correlate
Per comunicazione si intende quel processo attraverso il quale due o più
individui interagiscono tra di loro, collocandosi nell’ambito di un incessante
processo di interazione dialettico con il mondo circostante, ovvero con la
cosiddetta “realtà”
4
. La comunicazione funge da pilastro per la costruzione di
relazioni sociali e riguarda una trasmissione reciproca di idee, pensieri,
trasmissione che si concretizza in conoscenza.
Comunicare implica costruire delle relazioni, tessere dei legami non solo tra
individui appartenenti ad una comunità (importante a tal proposito è l’avvento
della società di massa, di cui si parlerà a breve), ma anche e soprattutto tra gli
individui e il loro essere interiore.
5
La comunicazione vede come pilastro il
linguaggio: attraverso una lingua l’individuo trasmette i propri valori e la
propria cultura tramite un codice, in tal caso inteso come un significato
attribuito da parte di chi è coinvolto in suddetto processo, tessendo così delle
relazioni con altri individui. Più specificamente, relazioni sociali.
Ponendo questo concetto sul piano sociologico, il concetto di relazione sociale
assume un significato ancora più intrinseco se si pensa al concetto di agire
sociale proposto da Weber, secondo cui vediamo l’attore sociale che cerca di
dare un senso alle proprie azioni tramite l’instaurazione di legami sociali.
Parliamo quindi di un “agire secondo uno scopo”: l’attore sociale, una volta
prefissatosi un obiettivo, agisce con altri individui con i quali condivide tale
obiettivo. Proprio in questo contesto assistiamo al passaggio da una solidarietà
“meccanica” ad una solidarietà “organica”, delineando la società come l’esito
di atti di interazione fra attori sociali che intendono giungere ad obiettivi
4
G. Pecchinenda, La routine della comunicazione. Fenomenologia dei media e neuroscienze sociali,
Lulu.com, 2021, pag. 7
5
Ivi, pag. 17
9
“dotati di senso”.
6
Il concetto di comunicazione si sviluppa maggiormente in
un periodo testimone di numerose trasformazioni sociali ed economiche del
XIX secolo, nel quale si afferma la sociologia come disciplina
7
. Per questo
motivo, verranno riportate in seguito alcune teorie di cui tale concetto è stato
la colonna portante.
Teoria della società di massa e psicologia delle folle
Se è vero che la comunicazione è fondamentale per tessere relazioni con altri
individui nel contesto sociale, l’avvento della società di massa ha dato vita a
relazioni perlopiù “forzate”
8
che sfociano nel concetto durkheimiano di
anomia, ossia, una carenza di norme e valori.
L’anonimità di tali relazioni si concretizza talvolta nella psicologia delle folle.
Secondo Le Bon (1895), le folle sono le protagoniste di questo contesto
sociale, ma con un’accezione negativa: i sentimenti e le idee si polarizzano
dando vita a nuove caratteristiche comuni di pensiero e di azione
9
.
Teoria ipodermica o “bullet theory”
Una delle prime teorie di comunicazione di massa è stata la teoria ipodermica,
incentrata su determinati postulati. In primis, come accennato poco prima,
l’individualità personale svanisce e lascia spazio a una massa indifferenziata,
collocata in condizioni di anomia. In secondo luogo viene enfatizzato il
carattere persuasivo dei media, ragion per cui la teoria ipodermica è definita
anche bullet theory poiché tale proiettile – metaforicamente rappresentato dal
messaggio veicolato dai media – colpisce pienamente l’individuo. Infine, i
messaggi mediatici sono recepiti allo stesso modo da tutti i membri.
6
M. Giacomarra, Sharing Sociology: il ruolo della comunicazione nella sociologia della condivisione,
Palumbo, Palermo-Firenze, 2017, pag. 89
7
S. Bentivegna, G. Boccia Artieri, Le teorie delle comunicazioni di massa e la sfida digitale, Laterza,
Roma-Bari, 2019, pag. 6
8
Ivi, pag. 7
9
P . Amerio, Fondamenti di psicologia sociale, il Mulino, Bologna, 2007, pag. 41