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Partecipazione, cittadinanza attiva e nuovi modelli di governance. Uno studio di caso nell’area genovese

[...] Il lavoro è composto di tre parti, due di carattere teorico ed una di carattere empirico.
La prima intende indagare il percorso di trasformazione che avrebbe portato alle sperimentazioni attuali, e in cosa queste differiscano dalla situazione precedente. In particolare il capitolo 1 ripercorre i vari passaggi storici che hanno portato all’abbandono del modello razionale e top-down di amministrazione in direzione di varianti sempre più inclusive, sino all’approdo al cambio di paradigma da government a governance e alla modalità più radicale all’interno di quest’ultima, quella partecipativa. Il secondo, terzo e quarto capitolo si occupano, invece, di analizzare cosa distingua i nuovi strumenti condivisi da quelli tradizionali di, rispettivamente, partecipazione politica, governo locale e pianificazione urbanistica.
Questo conduce alla seconda parte, che è dedicata all’approfondimento più specifico della democrazia partecipativa, in particolar modo con il capitolo 5. In esso si indagano, da un lato, le motivazioni storico-politiche che avrebbero portato all’instaurarsi di questo tipo di sperimentazioni, sia dal lato amministrativo che da quello sociale, e ai fondamenti teorici che vi stanno dietro. Fra questi sono stati presi in considerazione i più importanti, come in primo luogo la teoria dell’agire comunicativo di Habermas e i suoi contatti con quelle di derivazione liberale sulla deliberazione pubblica (Elster), ma anche gli apporti legati ad ottiche di democrazia sostanziale all’interno di percorsi di sviluppo sostenibile, come quella di Beck e quella territorialista in ambito urbanistico. Sono inoltre presi in considerazione i punti di contatto e le più grandi differenze fra tale dimensione partecipativa-deliberativa e le più classiche forme di decision-making legate a votazione e negoziazione, tentando di considerare i processi deliberativi per come si verificano nella realtà piuttosto che nelle aspirazioni ideali dei sostenitori del mutamento. Con queste premesse si cercherà poi di considerare come le varie forme di partecipazione siano compatibili o meno con la democrazia rappresentativa, e come si propongano di affiancarla, migliorarla o semplicemente soppiantarla.
Non esiste infatti un solo modello ed una sola definizione di cosa debba essere la democrazia partecipativa, e per questo si sono mostrate nel settimo capitolo le varie accezioni del termine partecipazione che circolano, collegandole, in base all’esperienza genovese e alla letteratura, ai vari attori che le sostengono, e a come questo possa causare seri problemi nell’attuazione di una cosa percepita come sostanzialmente diversa a seconda degli attori. A questo proposito il fattore discriminante si rivela il ruolo che la politica riserva per sé all’interno del processo decisionale, al grado di apertura e alla delega di poteri che è pronta a riconoscere ai nuovi soggetti. Il sesto capitolo si occupa poi dello stretto legame esistente fra logica bottom-up sociale e territoriale, ossia fra partecipazione dal basso e nuovo protagonismo dei livelli più bassi di governo, e dell’intreccio fra sussidiarietà orizzontale e verticale. L’ottavo, infine, prende in considerazione più da vicino i principali contributi riconosciuti alle pratiche inclusive, vale a dire miglioramento della qualità democratica, in tutte le sue sfaccettature, e incremento del capitale sociale, con particolare attenzione al dibattito, importante per le zone che ne sono scarsamente dotate come le periferie, sul ruolo di causa o di effetto che questo può avere nei confronti della cooperazione partecipativa.
La terza ed ultima parte è quella dedicata alla ricerca empirica. Per indagare i risultati delle sperimentazioni di democrazia rappresentativa si è scelto come studio di caso quello della zona periferica genovese della Valbisagno (che pare essere all’avanguardia in proposito rispetto al resto della città), e in particolare quella che è generalmente riconosciuta come un’esperienza di successo, nel quartiere di S.Eusebio-Mermi- Montesignano. Dopo aver ripercorso nel nono capitolo da una parte il rapporto fra la città di Genova e le sue periferie, e dall’altra le pratiche condivise in atto, prestando una speciale attenzione a quelle sviluppate in Valbisagno, negli ultimi due capitoli si sviluppa la ricerca. Il capitolo 10, dedicato interamente all’esperienza di S.Eusebio, è suddiviso in tre parti. Dopo aver inquadrato il quartiere, i suoi pregi e problemi, e aver ricostruito l’esperienza partecipativa nei suoi sviluppi, nella seconda parte si fa una prima analisi descrittiva dei partecipanti agli incontri principali del Gruppo di Lavoro. Si è lavorato dunque sui dati estratti dai verbali di tali riunioni, sulla base dei quali si è cercato di ricostruire una mappa dei legami sociali sviluppatisi al loro interno con l’ausilio della tecniche matriciali della network-analysis, per indagare in particolare la centralità dei vari attori all’interno della rete, fra i quali si è scelto di privilegiare quelli di carattere associativo ed istituzionale. Nella terza parte si è proceduto poi ad un primo esame del giudizio di coloro che, fra i partecipanti a tali riunioni, sono risultati essere i più assidui, tramite somministrazione a coloro che avessero preso parte ad almeno la metà degli incontri di un questionario strutturato, nel quale erano presenti domande atte a rilevare i dati socio-anagrafici degli intervistati accanto ad altre utilizzate per indagare il numero di persone e gruppi frequentati precedentemente e in seguito all’introduzione di strumenti partecipativi e il giudizio dato all’esperienza in generale e a singoli suoi aspetti. L’ultimo capitolo è invece dedicato all’approfondimento qualitativo di cosa pensino partecipanti ed amministratori non solo con riferimento alla sola esperienza di S.Eusebio, ma alla partecipazione nella Valbisagno nel suo complesso. Si è scelto di utilizzare interviste non strutturate allo scopo di lasciare esprimere il più liberamente possibile gli intervistati sui temi che stavano loro più a cuore, e di coinvolgere anche soggetti esclusi dal processo per ottenere visioni differenziate e non di parte sul giudizio che gli attori dell’area in questione danno della democrazia partecipativa in generale, e del suo contributo al miglioramento delle periferie in particolare.

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5 Introduzione Il tema della partecipazione dei cittadini alle scelte delle amministrazioni pubbliche locali sta assumendo un carattere sempre più diffuso, sia nelle pratiche di governo, sia, forse in misura ancora maggiore, nei dibattiti degli studiosi. Da una decina d’anni a questa parte è stata infatti pubblicata una mole immane di ricerche sull’argomento, con opinioni varie e spesso in aperto contrasto fra loro. Secondo i più scettici ci si troverebbe dunque di fronte, più che altro, ad un “concetto ombrello” di gran moda, che raggruppa al suo interno una congerie di fenomeni anche assai distanti fra loro, in gran parte preesistenti e non del tutto innovativi, o comunque con scarsa rilevanza effettiva. Non si può tuttavia non notare il reale mutamento che ha interessato il sistema amministrativo, a partire dai primi anni ’90. Da allora, infatti, a causa di fenomeni quali la necessità del contenimento della spesa pubblica, i processi di globalizzazione e la conseguente competizione fra ambiti territoriali, la crisi delle ideologie, delle strutture portanti della tradizionale democrazia rappresentativa, del welfare state keynesiano e delle identità di classe, hanno comportato una serie di mutamenti nel governo delle città. La diversificazione dei bisogni, che non trovano più adeguata risposta nelle politiche di stampo tradizionale, e la crescente insoddisfazione nei confronti della “vecchia politica” lontana dalla gente, hanno portato da un lato ad un nuovo protagonismo della società civile, e dall’altro ad una necessità da parte delle stesse amministrazioni di integrare tali spinte all’interno del policy-making, per meglio rispondere alle mutate situazioni. Dalle prime forme di coinvolgimento, rivolte in primo luogo a quei soggetti che potessero contribuire con le loro risorse al mero contenimento della spesa pubblica, il processo di apertura dei confini della politica si è poi spinto via via sempre oltre, sino a configurare un vero e proprio passaggio di paradigma, da government a governance, da una visione tradizionale di politica basata sul soggetto decisore ad una attenta al processo di decisione. La forma che più si spinge oltre in questa direzione, tanto da rappresentare una significativa rottura con il classico sistema rappresentativo, è quella della democrazia partecipativa, che configura l’integrazione di tutti coloro siano interessati nel policy- making locale. A tale accezione è rivolta l’attenzione di questa tesi. Sembrerebbero due i maggiori contributi delle forme condivise di decisione: da un lato il miglioramento della qualità democratica, dall’altro la formazione di capitale sociale. Per quanto riguarda il primo punto, si sottolinea come una maggiore inclusione dei cittadini, e un loro maggiore controllo e partecipazione a quanto accade tra un’elezione e l’altra, comportino una più elevata qualità democratica di quanto non avvenga con una cittadinanza passiva, che si limita ad accettare o al limite a protestare per le decisioni prese dai rappresentanti. In questo modo sarebbe possibile non solo internalizzare i possibili conflitti, ma soprattutto garantire decisioni più efficaci, dato il contributo della

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